A leggere in parallelo la stampa inglese e quella italiana, la Gran Bretagna e i suoi drammi sul Brexit paiono incomprensibili. L’Economist e il Financial Times che pure avevano combattuto contro il Brexit oggi si oppongono a un secondo referendum che al contrario del primo, secondo i sondaggi, voterebbe per fare rimanere il Regno Unito dentro l’Unione Europea.
Che problema c’è?, si può dire dall’Italia, prima si è votato nero, oggi si vota bianco e si riaggiusta tutto.
No, dicono gli autorevoli maestri di pensiero isolani, perché due referendum uno dietro l’altro, se pure consultivi, con esiti opposti minano la struttura stessa della democrazia del paese. I referendum non sono né devono essere delle specie di pasticcini da tè che si prendono quando si vogliono. D’altro canto è chiaro che la maggioranza dei britannici ora non vogliono uscire dalla Ue e il Brexit è una clava populista contro gli interessi veri del paese.
Quindi il dramma inglese oggi è come conciliare lo spirito della legge, mantenendo la sacralità dell’istituto del referendum, con gli interessi e la volontà del paese. Il dramma è vero, perché se si va contro lo spirito della legge, anche se se ne osserva la lettera, le istituzioni democratiche sono scosse.
È questo rispetto per la ragione sacrale dello Stato e dello spirito della legge che sembra mancare in Italia. Quando al Senato la sua vicepresidente e membri della maggioranza di governo confondono quasi casualmente l’ex capo di Lotta Continua Adriano Sofri con il terrorista Cesare Battisti, lo Stato diventa una barzelletta.
Essi dimostrano di essere profondamente ignoranti della storia recente del paese e quindi semplicemente non degni di governarlo. La decadenza viene da lontano, dopo che per oltre 20 anni tanto berlusconismo, ma anche certo antiberlusconismo, hanno usato la lettera della legge contro il suo spirito minando le fondamenta dello Stato e creando lo spazio per certi scriteriati attuali. Il contrario insomma di quello che sta cercando di fare la Gran Bretagna. E oggi tutto si condensa.
Se il Senato è una barzelletta, ciò è peggio dell’antica promessa fascista di farne un accampamento di manipoli. Trasformarlo in un accampamento vuol dire che il Parlamento, lo Stato ha un valore e va svuotato; trasformarlo come oggi in una barzelletta dimostra che lo Stato si sta sciogliendo, se non si è già sciolto.
Questo è il punto e dramma vero che i partiti, qualunque essi siano, dovrebbero affrontare, perché senza Stato anche loro sono denudati, svuotati.
In queste ore la gara è come arrivare alle elezioni. È chiaro infatti che il partito di maggioranza relativo M5s è rimasto un guscio vuoto, incompetente e anche disonesto, viste le confessioni del padre del vice premier Di Maio.
Il punto ormai è quasi tecnico: sarà questo governo a portare il parlamento alle elezioni che dovrebbero arrivare prima di quelle europee di fine maggio 2019? Oppure il presidente Sergio Mattarella vorrà un altro esecutivo più solido per andare al voto?
Ci sono pro e contro tattici a entrambe le opzioni. Ma il nodo vero manca: come ricostruire la sacralità delle istituzioni? Questa è la vera domanda da cui partire forse per sciogliere tanti nodi del paese. Senza questo però anche il vincitore di domani, Matteo Salvini secondo i sondaggi, rischia di trovarsi a capo di poco o niente.