Nel confronto fra il French e l’Italian job della Commissione Ue sui budget 2019 c’è dell’altro rispetto a decimali o ai centesimi di deficit. Non c’è solo il fatto che il 2,4% della manovra italiana, “sbagliato” finché si vuole, è preciso e ufficiale da settimane mentre il 3,5% francese – formalmente sbagliato rispetto ai parametri di Maastricht – a due settimane dall’inizio del nuovo esercizio finanziario non è scritto su nessuna carta e potrebbe perfino aumentare. La querelle non si può esaurire nemmeno – ammesso che sia facile – discriminando più o meno fra il “reddito di cittadinanza” (che a sud delle Alpi sarebbe solo assistenzialismo clientelare) e “aumento del salario minimo” che Oltralpe avrebbe dignità di “patto sociale”.
Emerge invece un problema politico-istituzionale drammatico, che esula dai “pesi e misure” adottati dall’Ue verso Paesi più o meno in ordine con i parametri di Maastricht. Che supera il fatto che il commissario Pierre Moscovici – designato a Bruxelles dal presidente Hollande e da un Ps francese distrutto – insista sulla procedura d’infrazione contro l’Italia dopo aver promosso “a prescindere” una correzione dei conti in corsa da parte del nuovo Presidente del suo Paese, che potrebbe ora premiarlo con una ricandidatura centrista alle europee. Il nodo riguarda il funzionamento delle singole democrazie nei singoli Paesi-membri dell’Ue, che tardano – dopo 60 anni – a diventare una “democrazia europea” e chissà se ci riusciranno.
Non c’è dubbio che la “tarantella” improvvisata del vicepremier Di Maio a fine settembre sul balcone di palazzo Chigi sia stata un brutto spettacolo: che sicuramente ha peggiorato la presentabilità di una manovra finanziaria eccessivamente sbilanciata sulla spesa assistenziale e priva di impegni sul taglio del debito. Ma lo show televisivo di Emmanuel Macron, lunedì scorso, dall’Eliseo assediato dai gilets jaunes, è stato peggiore: il Presidente francese si è messo letteralmente a stampare euro in diretta tv, a promettere affannosamente una distribuzione di brioche sai “sanculotti” del 2018.
La manovra italiana è stata approvata da una riunione del consiglio dei ministri, discussa e infine votata dal Parlamento nazionale, presentata nei termini corretti alla Commissione Ue e perfino rivista secondo le procedure previste dal diritto europeo. Macron, è vero, si muove, in un regime semipresidenziale, ma ha riscritto a voce la manovra in tv senza passare per l’esecutivo e tanto meno per l’Assemblea nazionale e non passerà ora alcun vaglio europeo (almeno così ha fatto intendere Moscovici). Lo ha fatto come un dittatore sudamericano, quando non a caso per le vie di Parigi risuonava ancora l’eco degli scontri fra black bloc e blindati anti-sommossa. Come un tiranno, sta pretendendo dagli imprenditori francesi – dai grandi gruppi quotati in Borsa ai più piccoli – di aumentare elargizioni di Natale, per tacitare milioni di francesi impoveriti e incolleriti.
Eppure perfino il Financial Times si limita a borbottare qualcosa contro Marcon – liberista a parole – che “storta il braccio” ai supermanager francesi: naturalmente fra un bombardamento quotidiano e l’altro contro Donald Trump che incalza i giganti della Silicon Valley su evasione fiscale e occupazione nazionale.
Ai media italiani, naturalmente, basta copiare Le Monde, il quotidiano della gauche kaviar europea, il cui pacchetto di maggioranza sta passando proprio ora da un banchiere di Lazard a un miliardario ceco emulo di Silvio Berlusconi. Naturalmente ha sempre ragione Monsieur le President, ex banchiere di Rothschild: quando offende l’Italia, quando arresta i liceali, quando aggrava discrezionalmente il deficit del bilancio statale, quando interviene a gamba tesa nei mercati, quando si mostra incapace di affrontare con strumenti politici una crisi economica e sociale, quando non rispetta le regole della democrazia francese e di quella europea.