Nella Milano neo-leader in Italia per qualità della vita e attrattività turistica, il sindaco e il presidente della Regione litigano sul biglietto di tram, bus e metrò. Il primo cittadino — eletto dal centrosinistra — vuole rincararlo, il governatore leghista frena. Ora pare abbiano trovato un compromesso: rinviare lo scatto di almeno sei mesi. E’ comunque un interessante caso politico nel laboratorio turbolento dell’Italia di fine 2018.



L’aumento delle tariffe originariamente immaginato dal Comune per l’1 gennaio era rilevante — un terzo — e lo rimane come ipotesi sul tavolo. La tariffa urbana base salirebbe da 1,5 a 2 euro e impatterebbe come un’onda sismica sul costo del trasporto pubblico su di un’area metropolitana di tre milioni di abitanti. Un terremoto per i bilanci dei pendolari di ogni categoria (dipendenti, lavoratori autonomi, studenti, utenti di servizi sanitari, etc). Sono, fra l’altro, gli elettori che alla fine del prossimo maggio saranno chiamati a un voto europeo che sempre più si profila come verifica nazionale proporzionale un anno dopo il voto politico che a Milano e in Lombardia ha premiato la Lega e punito il Pd. E’ questo — con buona evidenza — a preoccupare il governatore Attilio Fontana: soprattutto dopo che la faticosa gestazione della manovra 2019 ha vanificato le promesse elettorali leghiste riguardanti la diminuzione della pressione fiscale e una svolta rispetto alle gestioni pubblicistiche dei servizi tipiche del centrosinistra. La Regione di Fontana, non a caso, ha in cantiere una rottamazione morbida per il recupero di 500mila ticket sanitari non spettanti.  



Il sindaco Beppe Sala — a metà mandato — su questo fronte ha assai meno ansie. La sua Grande Milano è d’altronde quella che ancora rammenta il suo Expo 2015 e si proietta già sulle sue Olimpiadi invernali 2026, per le quali la candidatura Milano-Cortina rimane in pole position. E’ la Milano che archivia un 2018 da record per il traffico di Malpensa: 24 milioni di passeggeri. Arrivati per il Salone del Mobile, per la Scala o per il Gran Premio, per lo shopping nel Quadrilatero, per comprare meccatronica in Brianza, per un workshop in una delle sette università cittadine. Per business e/o per advanced research & education e/o per turismo.



Se a Venezia un turista paga 7,5 euro per viaggiare 75 minuti sui vaporetti (il veneziano però ne paga meno della metà…) a Milano può spenderne 2 o poco più per girare fra il Duomo, la Fiera e San Siro su 4 (anzi 5) linee MM. Se un residente nell’area metropolitana chiede e ottiene “qualità urbana” (che può creare valore anche per la sua casa di proprietà) è chiamato a contribuirvi anche con la fiscalità flessibile implicita nelle tariffe Atm. Se un sistema-Milano investe strategicamente sul suo futuro, non può non cominciare da un fundraising proprio (mentre Roma formato M5s mendica il rattoppo delle buche al bilancio dello Stato). Le linee di policy del sindaco Sala sono tutte chiaramente leggibili: sono coerenti con la sua storia di manager Pirelli e poi di Ceo dell’Expo, con la sua candidatura vincente per palazzo Marino nel 2016.  Le premesse non sono diverse da quelle della gestione draconiana delle infrazioni stradali: più autovelox, multe alte, mano pesante con chi non le paga. Non da ultimo, Ztl più larghe: il primato della Grande Milano di Sala è anche nella sicurezza della circolazione e nella tutela ambientale (e nell’enforcement amministrativo sull’incasso delle sanzioni).

“La Milano di Sala” è senza dubbio quella che ha lungamente applaudito il presidente Sergio Mattarella — e per alcuni versi si è lungamente auto-applaudita — alla prima della Scala: contrapponendosi più che virtualmente alla Milano del vicepremier Matteo Salvini e dello stesso governatore Fontana. Sala è “il sindaco più di moda” secondo l’Espresso, che ieri lo ha intervistato a tutto campo: anche su un possibile impegno politico nazionale.

Pochi giorni dopo Sant’Ambrogio, peraltro, lo stesso sindaco è stato duramente contestato al Corvetto, una delle periferie più hard della metropoli. Non lo hanno attaccato le partite Iva leghiste, ma i centri sociali più o meno vicini all’anima antagonista di M5s, discreta approssimazione italiana ai gilet jaunes francesi. Non ha sorpreso che Sala abbia reagito con molta più prontezza del presidente francese Macron: preannunciando già nel 2019 maggiore attenzione per i tanti esclusi dal dream milanese di inizio millennio. La tregua con Fontana sul rincaro dei biglietti è maturata anche su questo sfondo e Sala sembra d’altronde essersi preso una “pausa di riflessione” più ampia.

Il suo “progetto Milano” si sta rivelando indubbiamente competitivo. Ha perso — di un soffio e immeritatamente — la gara per l’Agenzia europea del farmaco, ma ha ora ottime chances di rifarsi con la candidatura olimpica. La città ha tutti i macro-numeri economici in crescita, con largo effetto feel-good nelle fasce di cittadinanza più progressive, in una società che anche a Milano è sempre più polarizzata. Il sindaco — al di là di schieramenti politici incerti e fragili — ha saputo cogliere il momentum di questa Milano, consolidando la sua credibilità su linee strategiche precise. E’ stato un collegio di Milano centro, “made in Sala” a eleggere un raro candidato non di centrodestra nel Lombardo-Veneto: peraltro non del Pd ma della lista Bonino. Ed è proprio il fronte esterno — nazionale — a costituire oggi il banco di prova più significativo per Sala, rispetto al di là dei livelli di consenso nel perimetro municipale.

Sala è un sindaco che sta gestendo la candidatura olimpica in joint-venture con il governatore leghista del Veneto, Zaia. Ma resta un laico riformista e progressista che non gradiva per le vie di Milano troppi poliziotti anti-migranti neppure quando a mandarli era il Viminale di Marco Minniti: figurarsi oggi che a moltiplicarli ci pensa Salvini. Il sindaco di Milano rimane essenzialmente un tecnocrate prestato alla politica: pochissimo interessato, anzitutto, alle convulsioni del Pd nazionale che pure due anni fa lo ha sostenuto, all’apice del renzismo. Manager “onorario” di un’Expo concepito e conquistato dal sindaco Letizia Moratti, candidato centrista che per un attimo si pensava avrebbe potuto capeggiare le liste del centrodestra milanese, Sala è oggi chiaramente attento a quanto può accadere al centro del campo politico: forse più alle prospettive di rientro in gioco di un Mario Draghi che alle iniziative di un Carlo Calenda. Senza trascurare peraltro l’attivismo recente di Marco Tronchetti Provera, ormai ex patron di Pirelli, senatore di un’Assolombarda sempre più insofferente della Confindustria romana. Né va sottovalutato l’appoggio costante dato a Palazzo Marino dal quotidiano-leader di Milano: il Corriere della Sera di proprietà sostanziale di Intesa Sanpaolo per la guida editoriale di Urbano Cairo (outsider post-berlusconiano che da tempo civetta volentieri con le voci di ingresso nell’arena politica).