Marcia indietro, dunque, sul raddoppio dell’Ires agli enti no-profit. Per il momento resta nella legge di stabilità, con la promessa però di toglierla successivamente. Ma, anche se verrà ritirato, si tratta di un segnale inquietante, perché non è un episodio isolato. Dopo aver martellato a lungo contro Ong “colpevoli” di salvare rifugiati e migranti nel Mediterraneo, è venuto questo provvedimento che costituisce una vera e propria “tassa sulla solidarietà”. Tale misura, infatti, avrebbe portato nelle case dello Stato circa 158 milioni, una cifra minima rispetto ai miliardi di danni che avrebbe potuto provocare non al governo, non alla Chiesa e neanche ai volontari, ma al popolo italiano. Insomma, un provvedimento contro il popolo in quella che è stata definita la “manovra del popolo”.



Sarà pure stato un “errore” – come dicono ora i suoi autori – ma se si è arrivati a tanto è perché c’è un contesto che lo ha permesso. Il provvedimento avrebbe colpito in particolare i più poveri, una parola che oggi piace poco: appare vecchia e anche un po’ imbarazzante. Non è la prima volta. Qualche decennio fa sembrava inadeguata ad esprimere le complesse dinamiche della società industriale e molti sentivano la necessità di sostituirla con “proletari” o “classe operaia”, termini che si riteneva più calzanti per sostenere un grande movimento rivoluzionario in grado di eliminare tutte le ingiustizie. I credenti si trovavano in difficoltà davanti a quanti li accusavano di “assistenzialismo” per l’uso di termini non più adeguati alla società moderna. Ma hanno continuato a farlo per fedeltà alla Scrittura: è infatti la parola che si usa per tradurre l’ebraico anawin, ampiamente presente nella Bibbia. C’è di più: Gesù avverte esplicitamente i suoi discepoli che “i poveri li avrete sempre con voi”. La fedeltà ai poveri – anzitutto rifiutandosi di espellerla dal linguaggio corrente – non è stata inutile. Indubbiamente, tutti i proletari erano poveri ma c’erano anche poveri che non erano proletari e che non coincidevano con la classe operaia. Dunque, continuare a parlare di poveri ha contribuito a rendere visibili le sofferenze di uomini e donne che non rientravano in quella categoria. E, soprattutto, ha significato mantenere vigile l’attenzione verso gli ultimi – “proletari” compresi – anche dopo la dissoluzione dell’edificio politico-ideologico comunista.



Oggi sta avvenendo qualcosa di analogo. Scomparsa la “classe operaia”, si guarda soprattutto al ceto medio impoverito. Sono i “dimenticati” dalla globalizzazione cui la politica attuale presta grande attenzione. Indubbiamente, non è sbagliato chiedersi chi sono oggi i poveri e interrogarsi sulle forme storiche concrete che assume la povertà. Lo fa anche Papa Francesco, quando usa il termine “scarti” per descrivere i milioni di esseri umani che nelle grandi megalopoli contemporanee vengono trattati come rifiuti. Se anche nei ceti medi si diffondono nuove forme di povertà è giusto riconoscerle: molti homeless che vivono nelle nostre città vengono dalle fila di questi ceti. Ma c’è qualcosa di ambiguo e, persino, di violento, quando i politici parlano di “eliminazione della povertà” riferendosi a uomini e donne che in molti casi non vivono in una situazione di vera povertà. Si escludono in questo modo i problemi di quanti oggi vivono in Italia in condizioni davvero difficili, come milioni di stranieri diventati negli ultimi anni il capro espiatorio cui si addossano tutte le colpe. Ci sono anche molti italiani poveri che non rientrano nelle categorie di cui i politici cercano il consenso. Il raddoppio dell’Ires ad esempio avrebbe colpito cooperative di volontari che in Toscana comprano e usano ambulanze per anziani cui necessitano visite mediche o specifiche terapie: la tassa sulla solidarietà non colpisce certo i volontari di queste cooperative, ma gli anziani che essi aiutano. 



Tutto ciò si salda ad un atteggiamento preoccupante verso la Chiesa. La spiegazione ex post del provvedimento è che si volevano colpire gli abusi – senza specificare quali –, mentre nei giorni scorsi si è parlato di “privilegi” – senza specificare chi ne beneficiava. E’ inoltre eloquente il modo distorto in cui sono state presentate le parole usate dal card. Basetti per esprimere lo sconcerto per la “provocazione” provocata dalla tassa sulla solidarietà: gli è stata attribuita, infatti, la volontà di mobilitare il mondo cattolico contro il governo, malgrado l’evidente intento del presidente della Cei di evitare contrapposizioni polemiche e valutazioni politiche. Nei giorni scorsi, inoltre, importanti leader politici hanno parlato anche di tagli all’editoria che colpiscono, tra l’altro, proprio la stampa cattolica, come di una “eliminazione di privilegi”. Sembra oggi emergere, insomma, un’ostilità mirata contro la più importante realtà sociale che in Italia tiene viva la solidarietà, specie verso i più poveri: la Chiesa.