In un clima di concitazione generale e di autentica bagarre all’urlo, il Parlamento italiano si appresta ad approvare la cosiddetta manovra, la legge di bilancio, che sembra destinata a cambiare sostanzialmente nulla dello sviluppo economico italiano. Qualche limitato intervento di carattere sociale, necessario, ma più promesso e scaglionato nel tempo che una svolta autentica, almeno quella che secondo la vecchia e gloriosa economia politica era centrata sulla produzione. Oppure a una visione economica nuova, rivoluzionaria, ma in cerca di un miglioramento reale. Invece, inevitabilmente, persiste un clima di rassegnazione, risentimento, rancore e diffidenza.



Del resto è molto problematico inquadrare quale tipo di interventi dovrebbero essere scelti per una economia come quella italiana, che tanti osservatori e analisti fanno fatica a definire. Suona come un ritornello amaro il titolo del libro della storico dell’economia Giuseppe Berta: “Che fine ha fatto il capitalismo italiano?”.



E il punto interrogativo maschera il disorientamento e anche l’angoscia di fronte alla necessità di ripresa e di sviluppo, di scelte e di interventi che rimettano l’Italia al centro di una visione o di un’aspirazione di benessere, di sviluppo, di produzione e crescita. Questo disorientamento è generale, non solo di qualche bravo economista, ma è compreso, magari confusamente, da un’intera società. Il voto del 4 marzo riflette questo contesto.

Del resto poi, si sa già che, tra pochi giorni, si dovranno rivedere i dati, come al solito non positivi, del Pil, della disoccupazione, della povertà e della crescita delle intollerabili differenze sociali. Il prodotto di tutto questo è la maggioranza giallo-verde, la confusione dell’opposizione e la mancanza di qualsiasi reale alternativa.



Questo disorientamento non è solo italiano, ma è ben inserito, forse in forma più acuta, nell’Unione Europea, in evidente stato di crisi e di difficoltà, dove tanti Paesi importanti hanno questioni interne da regolare e da risolvere.

La Francia guarda alla “rivolta” nelle strade che, anche se sembra ridotta nei numeri, va in onda ogni sabato. Emmanuel Macron avverte il peso della difficoltà e cerca di riavvicinarsi ai gollisti, in particolare all’ala di Nicolas Sarkozy, con il quale si era scavato un profondo solco. Da qui l’impressione di paura e di correre ai ripari con un’ipotetica “formazione di centristi” che non venga travolta dalle ali estreme.

La Germania non ispira più la fiducia di un tempo, nonostante i suoi conti cosiddetti in ordine. Appena si guarda sotto il tappeto della finanza e delle banche, c’è da rabbrividire. In più ci sono i risvolti politici con la Cdu in caduta libera, la cancelliera in via d’uscita e i socialdemocratici della gloriosa svolta di Bad Godesberg che sembrano sulla strada d’estinzione e valutati oggi sotto il 10 per cento. Persino l’Andalusia spagnola, tanto per citare un altro caso, non vede un socialista al governo regionale dopo 40 anni.

Come si potrà configurare il prossimo Parlamento europeo di fronte a simili cambiamenti elettorali? E’ un’incognita, che però tende al negativo.

Sarà in atto un grande cambiamento a ogni livello, anche difficile da interpretare, comprendere e governare, ma la complessità che di solito lega la crescita economica e lo sviluppo sociale, in un ambito democratico, è stata completamente trascurata dal nuovo ceto politico e dalla nuova classe dirigente. Si è scelto di promuovere una parte dell’economia che un tempo veniva definita “cinica”, quella della matematica, degli algoritmi, quella che ridimensiona la vera natura dell’economia politica, cioè di essere innanzitutto una scienza sociale.

Viene in mente un aforisma di Oscar Wilde: il cinico è colui che conosce il prezzo di ogni cosa, ma non conosce il valore di niente. E soprattutto come si forma questo valore.

Tracciata questa strada a livello mondiale, europeo e anche italiano, alla fine salta fuori una fotografia drammatica fatta dal Censis: “Chiunque può constatare il declino di reputazione e d’influenza dei partiti politici, del sindacato, del sistema di rappresentanza industriale, degli apparati burocratici. La crisi dei corpi intermedi e delle figure collettive non dipende solo da quel che chiamiamo verticalizzazione del potere personalizzato della politica e disintermediazione della classe dirigente. Deriva anche dal fatto che l’azione collettiva, vera figura portante dello sviluppo del secolo scorso, non è più ispirata dalla domanda di trasformazione dell’organizzazione economica e sociale, non riflette più l’aspirazione, l’impegno, l’affermazione di un sistema più moderno, organizzato, funzionale di società”.

In questo modo, cresciuti nel cinismo della “società che non esiste” teorizzata da Margaret Thatcher, sia gli italiani che probabilmente anche molti europei si sentono adesso drammaticamente soli e non rappresentati. Il risultato che ne deriva è sotto gli occhi di tutti.

In Italia esiste una maggioranza legata da un contratto tra due forze differenti e abbastanza povere di cultura politica, che spesso si aggiudicano successi nel loro campo di pertinenza ministeriale senza mai pensare a una vera azione collettiva. Nello stesso tempo non esiste una minoranza credibile. Quando si fa questo congresso del Partito democratico? E che cosa riserva l’ala che fa capo a Matteo Renzi? Nicola Zingaretti vincerà alle primarie oppure dovrà ricorrere a strani tempi supplementari?

L’impressione è che il 2019 riservi colpi di scena di carattere finanziario, ma anche colpi di scena politici inaspettati e forse mai immaginati. In più, non si deve mai trascurare l’assestamento geopolitico mondiale, con scenari inediti come la Siria lasciata dagli Usa a Russia e Turchia.

Una simile situazione, ritornando all’Italia, ha bisogno solo di grandi scelte coraggiose e di qualcuno che sia capace di farle. Certo non è il tempo dei Roosevelt e dei Churchill. Nessuna illusione. Ma senza un ricambio vero della cultura politica e il ritorno della politica, gli italiani si sentiranno inevitabilmente circondati da un terreno instabile, con mutamenti di orientamenti politici che possono arrivare a qualsiasi consultazione elettorale, in base ai ragguagli elettorali recenti: 35 per cento di astenuti; un governo indefinibile che mantiene una maggioranza del 60 per cento nonostante la modestia di dilettanti allo sbaraglio; infine opposizioni allo sbando. E nessuna visione politica credibile.

Se questo non porta a un disorientamento generale a che cosa dovrebbe portare?