La bocciatura della legge di bilancio da parte della Commissione europea in realtà non colpisce equanimemente le due componenti del governo, M5s e Lega, e proprio per questo è in realtà solo un regalo alla Lega, cosa che potrebbe avere enormi conseguenze per la politica italiana nei prossimi mesi.
Infatti l’Europa dice sì che va ridotto il debito, ma il coro degli economisti europeisti (italiani e non) si accanisce contro le misure sostenute dal M5s, reddito di cittadinanza e revisione della legge Fornero. Esse favoriscono rendite di posizione e appesantiscono gli oneri dello Stato.
La ricetta suggerita è invece taglio delle tasse (la Lega voleva la tassa piatta, flat tax) e investimenti in infrastrutture, osteggiati da M5s che ancora non digeriscono la Tav e altre grandi opere.
Oltre a questo si vuole una riduzione della burocrazia (che significa meno occupazione dallo Stato, anche qui contro M5s) e gli investimenti esteri vorrebbero una giustizia civile ma anche penale più snella e veloce — e anche in questo caso gli M5s sono quantomeno perplessi.
Su tutte queste materie la Lega va a nozze. Meno può fare il Pd. È vero che l’incompetenza pentastellata apre grandi varchi, ma questo è vero solo in teoria. Perché se il Pd respingesse totalmente tutte le tesi di M5s, si troverebbe comunque senza votanti. Non è un mistero infatti che molti elettori a 5 Stelle sono ex elettori Pd che si sentono traditi dal loro vecchio partito, e quindi il Pd non può pensare di prescinderne, andrebbero recuperati. Ma nessuno sa come, senza perdersi nel vecchio massimalismo perdente.
Del resto le divisioni del dibattito nel Pd nascono proprio da questa tara: come si fa a essere un partito di sinistra che ha un occhio alla destra, come era il disegno teorico di Matteo Renzi?
A destra invece il campo è sgombro. Forza Italia pare avere smesso di esistere a livello nazionale. Esiste ancora Silvio Berlusconi, quando appare, e le sue tv, ma il partito non c’è più.
La Lega è quindi sola. L’unico ostacolo a un’eventuale maggioranza assoluta è la Lega stessa. O meglio, la barba del suo leader, Matteo Salvini. Salvini, con la barba lunga, la camicia aperta, scravattato o con il nodo lasco, dice a italiani e stranieri: sono un antisistema. Era il messaggio di Fidel Castro quando emerse dalla giungla di Cuba, o dei ribelli del ’68 in Europa.
Ma gli italiani, la maggioranza almeno, non sono antisistema. Lo zoccolo del voto della Lega è fatto di imprenditori del Nord che hanno bisogno di un aggancio all’Europa e all’euro per sopravvivere, e oltre il 50 per cento dell’Italia (tra dipendenti diretti o indiretti, come funzionari, insegnanti o pensionati) vivono grazie allo Stato. Questi ultimi vogliono più latte da mungere dallo Stato, non vogliono distruzioni.
Quindi è solo una sparuta minoranza che è davvero contro il sistema. Il resto sono ribelli da villetta, che hanno bisogno dell’immigrato che gli accudisca la mamma malata, ma non pretenda l’elemosina a ogni angolo di strada.
In altre parole o Salvini si taglia la barba, si sposta al centro, cancella tante sue pericolose relazioni estere e ne costruisce di nuove, o la barba taglierà Salvini.
Qui basta fare due conti con le percentuali. M5s è in discesa più o meno libera, oggi intorno al 20 per cento, domani anche più giù. Il Pd, intorno al 17 per cento, è spaccato in mille pezzi e FI è sciolta. La Lega al 33 per cento sembra avere toccato il tetto.
Quindi c’è un 30 per cento di voti che a marzo era stato variamente diviso e che oggi è in libera uscita. Se non li prende la Lega li prenderà qualcun altro nuovo, visto che in politica i vuoti non esistono.