Luigi Di Maio al centro delle polemiche per l’azienda di famiglia, il direttore de Il Fatto Quotidiano Marco Travaglio si schiera dalla sua parte. Ecco le sue parole ai microfoni di Di Martedì: «La sua colpa è non aver fatto il quarto grado a tutti i parenti prima di candidarsi e non essersi comparato Mediaset o i grandi giornali. La storia del padre sembra un pretesto per far passare il messaggio ‘sono tutti uguali’. Eppure lui è l’unico ad aver fatto quattro interviste a Le Iene mentre gli altri cacciavano i giornalisti a pedate». Ma l’opposizione non ci sta e continua a chiedere le sue dimissioni, ecco le parole della dem Anna Ascani: «Il prestanome @luigidimaio a #portaaporta spiega che quando si è preso l’azienda di famiglia per coprire il padre evasore era un ragazzo ignaro. Ma era il 2014. E lui era già vice presidente della Camera. Mente con una facilità davvero imbarazzante. Abbia la decenza di dimettersi». (Aggiornamento di Massimo Balsamo)
“GIUSTO FARE LE PULCI ALLA FAMIGLIA DEL VICE PREMIER”
Di Maio, il giorno dopo la liquidazione avviata per l’azienda edile di famiglia, torna ancora sul “caos” scoppiato dopo i reportage delle Iene: lo fa intervenendo ad un Forum dell’Ansa dove ammette «giustissimo fare le pulci anche ai familiari del vicepremier, non solo a lui, controllare fino all’ultimo dettaglio della famiglia». Un distinguo però Di Maio lo fa, dopo aver ribadito anche ieri che il primo pensiero della sua azione politica restano i cittadini: «però parliamo di un fatto di dieci anni fa: va bene che venga fuori la notizia, ho conosciuto cose di mio padre che non conoscevo e mi aiuterà nel rapporto con lui». Intanto viene confermato l’esposto del Pd contro lo stesso vicepremier e la querelle sull’azienda del padre: «le accuse rivolte contro Antonio Di Maio sono di sottrazione fraudolenta di patrimonio al pagamento delle imposte, lavoratori in nero, dichiarazioni fiscali infedeli, falso in bilancio, intestazione fittizia. Luigi Di Maio, da parte sua, è stato convocato d’urgenza in aula al Senato, per riferire se fosse conoscenza dei lavoratori in nero nel momento in cui è divenuto ministro del Lavoro». (agg. di Niccolò Magnani)
“IO DEVO DEDICARMI AI CITTADINI”
Luigi Di Maio ci mette la faccia: il ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico ha parlato dell’azienda di famiglia, la Ardima srl, nel corso dell’intervista rilasciata a Porta a Porta. Il leader del Movimento 5 Stelle ha tenuto a precisare che l’azienda «era già da un anno fuori dall’attività», sottolineando che «si occupava di edilizia e non aveva commesse da un anno: stava aspettando di ricevere dei crediti. Io mi devo dedicare ai temi che stanno a cuore ai cittadini e non avevo nessuna intenzione di dedicarmi a questa azienda». Il vice premier ha poi proseguito: «Siccome si stava addirittura parlando di conflitto di interessi, ho preferito sgomberare il campo e l’ho messa in liquidazione: questo dimostra che non c’era alcun motivo oscuro per cui ero socio. Voglio ringraziare i giornalisti che hanno fatto queste inchieste, aiuteranno il rapporto con mio padre: se voleva scappare dal Fisco, evitava di intestarsi di terreni che poi gli hanno aggredito». (Aggiornamento di Massimo Balsamo)
IRA PD
Luigi Di Maio ha annunciato la messa in liquidazione della società di famiglia insieme alla sorella, ma non si placano le polemiche. Matteo Richetti, come gran parte del Pd, chiede le dimissioni del ministro del Lavoro: «Me ne sono stato in silenzio fino a oggi. Non sopporto la politica fatta sulla vita personale. Ma adesso non ci sono più attenuanti: il ministro #DiMaio si deve dimettere. In tutti i Paesi civili un uomo di Governo che mente va a casa. Senza giri di parole». Queste le domande di Luciano Nobili: «Non ci interessa cosa ha fatto suo padre. Ci interessa cosa ha combinato Luigi #DiMaio. Dopo mille menzogne deve rispondere alla nostra domanda: perché l’azienda è intestata a lui? Perché fa da #prestanome al padre? È per sottrarla al fisco? Per eludere Equitalia?». Infine, le parole di Francesco Bonifazi: «La liquidazione della società è la metafora perfetta della parabola politica di Di Maio: liquefatta. PS. liquidando la società non si cancellano i reati…». (Aggiornamento di Massimo Balsamo)
FIRMATA MESSA IN LIQUIDAZIONE
Luigi Di Maio e la sorella sciolgono l’azienda di famiglia, finita al centro di un caso tirato fuori da Le Iene su presunti lavoratori in nero e che si è poi allargato. Il vicepremier e Rosalba Di Maio hanno firmato la messa in liquidazione dell’Ardima srl. Inoltre, è stato nominato «liquidatore con tutti i poteri di legge Di Maio Giuseppe», cioè il fratello del ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico. Nell’atto si fa riferimento alle «ragioni per le quali risulta conveniente e opportuno sciogliere anticipatamente la società e porla in liquidazione». In particolare, l’AdnKronos evidenzia che si fa riferimento nell’atto alla «prolungata inattività» che «rende necessario procedere allo scioglimento anticipato». Lo aveva anticipato nelle scorse ore lo stesso Luigi Di Maio, spiegando al Fatto Quotidiano di voler mettere in liquidazione l’azienda di famiglia di cui è proprietario al 50 per cento con la sorella.
LUIGI DI MAIO, SCIOLTA L’AZIENDA DI FAMIGLIA ARDIMA SRL
«L’attività imprenditoriale della Srl è cessata da oltre un anno e la stessa verrà posta in liquidazione», ha appunto dichiarato Luigi Di Maio nelle scorse ore. Il ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico spera così di voltare pagina. «Poiché ho già dichiarato di non essermi mai occupato di fatti di gestione, di essere stato operaio della ditta di mia madre per soli 4 mesi, e di aver aperto il cancello del deposito di mio pare qualche volta e niente più, non potendomi ora occupare del controllo di legalità e della revisione contabile postumi delle aziende di famiglia, io direi di finirla qui perché devo occuparmi dei problemi del Paese». In ballo però c’è anche la vicenda delle 33 cartelle esattoriali notificate tra il 2001 e il 2011 e ascrivibili al padre Antonio. Di Maio a tal proposito ha spiegato: «Non so se alcune cartelle si estingueranno, ma resta il fatto che su un debito di circa 180mila euro questo non migliorerebbe in maniera significativa la situazione di mio padre».