Si è presentato sul palco di Roma con la felpa della polizia. Forse il ministro dell’Interno avrebbe dovuto andare prima a Corinaldo, sul luogo dell’assurda tragedia della discoteca. Ma Matteo Salvini non ha abbandonato la piazza, ha fatto fare un minuto di silenzio e poi ha dato il via al grande show, alla nuova Pontida che seppellisce definitivamente la prima Lega, quella di Bossi, e ne inaugura in via ufficiale una nuova. Niente più Verdi con il “Va’ pensiero” indipendentista, avanti con Puccini, la Turandot e quella romanza “Nessun dorma” che culmina nella promessa “All’alba vincerò”, che al momento è ancora una speranza per il leader leghista. Via il verde a favore del blu, via i rituali paganoceltici (che in realtà sono anche quelli di Forza Nuova) per una rassicurante sequenza di citazioni di Giovanni Paolo II e della Bibbia e di riferimenti al “santo Natale”, al “santo presepe” e al “buon Dio”.
Ma c’è un’altra svolta nel discorso salviniano in una piazza del Popolo gremita da gente venuta da tutta Italia, Sud compreso, anzi ben rappresentato da striscioni dialettali. I toni polemici sono cancellati. La presa di distanza dalle piazze francesi è netta: “La vita è troppo breve per perdere tempo in odio e polemiche; questa è una piazza di amore e di speranza, lasciamo ad altri la violenza”. E giù con Luther King, De Gasperi e i papi. La svolta è nel collocarsi al centro dello schieramento politico, senza estremismi. L’abbandono dell’arroganza sfoderata nelle ultime settimane con l’Europa e con gli industriali accompagna l’intenzione di Salvini di presentarsi come leader inclusivo, lontano dalle contrapposizioni. Anzi, come “il” leader della nuova Italia.
Il numero uno della Lega archivia il centrodestra, semmai ci fosse ancora qualche nostalgico. Non archivia ancora il governo perché non se lo può permettere, ma i cartelli issati nella piazza parlano chiaro: “No al reddito di cittadinanza”. Le tensioni con i 5 Stelle finiscono come la polvere sotto i tappeti perché adesso è il momento di fare passare la legge di bilancio e di scansare le rappresaglie di Bruxelles. Ma dopo le elezioni europee il discorso sarà un altro. Tutto, nel comizio e nella coreografia, punta a costruire l’immagine di un leader rassicurante, sicuro, dalle idee chiare e dotato della forza necessaria per realizzarle.
Salvini presenta sé stesso non soltanto come il leader del partito destinato a diventare il primo, e nemmeno come capo della vecchia coalizione rimpianta da Silvio Berlusconi, ma come il condottiero degli italiani, del popolo che lo acclama, l’elemento unificante della nuova identità sovranista, il garante di un Paese che, invecchiando all’anagrafe, diventa sempre più chiuso e conservatore. Sul palco è scritta la nuova parola d’ordine, “buonsenso”, e il ministro dell’Interno la ripete più volte nel comizio. Buonsenso, un’idea che tutti capiscono e contro la quale nessuno può schierarsi: chi non vuole politici, leggi, riforme, tagli di buonsenso? Nessun riferimento ideologico in questa Italia salviniana dei luoghi comuni. E chi non vuole un Paese ordinato, sicuro, ben governato, dove i delinquenti finiscono in cella e ci restano, in modo che le persone perbene possano vivere felici e contente?
Sullo sfondo ci sono naturalmente le elezioni europee, dove la Lega diventerà il primo partito in Italia e forse, se riuscirà a coagulare il consenso negli altri Paesi, potrà ambire ad avere un certo ruolo nella nuova eurolegislatura. Ma se non ce la farà, pazienza. A Salvini basta, e avanza, fare il pieno in Italia.
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