Senza un’esperienza di lavoro alle spalle, con una modesta licenza di scuola superiore, e incapace di parlare inglese, il trentenne onorevole pentastellato Luigi Di Maio ha voluto in questi giorni tranquillizzare l’economia mondiale dicendo di non essere populista e aprendo a larghe intese a tutto campo, praticamente con tutti.
La ventura fu alla City di Londra che, con New York e Hong Kong, domina la finanza globale.
Se fosse una favola sarebbe nella lega del Gatto con gli stivali, la Bella addormentata nel bosco, Biancaneve e i sette nani. Cioè è una storia troppo irrealistica per essere accaduta sul serio. Eppure, come diceva un altro illustre inglese, William Shakespeare, “ci sono più cose in cielo in terra di quelle sognate nella vostra filosofia”. Quindi, anche se pare inverosimile è vero: Di Maio, figlio più puro del populismo dilagante in Italia e nel mondo, ha spiegato alla City come la sua Italia futura non sarà populista.
Qualcuno però può ragionevolmente credergli? Specie poi di fronte all’eterea (quantomeno) presenza del M5s al governo della capitale d’Italia.
La realtà purtroppo è che Di Maio non è da solo a non godere la fiducia estera. Il leader del Pd Matteo Renzi non piace (se mai davvero era piaciuto) perché comunque ha fallito e non ha portato il risultato promesso: trasformare il barocco sistema decisionale della politica italiana.
Il perché ormai è questione di storia e non più di politica. In politica conta il risultato, mancato in questo caso, che compromette pesantemente ogni sua scommessa futura. Tanto più che da ex rottamatore oggi si presenta come il meno peggio rispetto al M5s, inaffidabile, e a Berlusconi, macchiato dai suoi affari (passati?) con Putin e dall’alleanza con la Lega di Matteo Salvini.
In effetti Berlusconi è il favorito fuori, ma per mancanza di alternative. È quello che dovrebbe vincere le elezioni e ha cercato sponde in Germania con la cancelliera Angela Merkel. Tuttavia a 81 anni, con una coalizione traballante, rischia di essere una foglia di fico rispetto ai due Mattei (Salvini e Renzi) alleati di stipula o potenziali. Cioè Berlusconi anche se vince e se è sdoganato sarà fortemente condizionato da almeno uno dei due Mattei, che sdoganati invece non sono.
Quindi resta solo il presidente Sergio Mattarella, e più concretamente Marco Minniti. Fine tessitore dietro le scene, fattivo, si sta dimostrando abilissimo come politico e nell’accumulare potere. Minniti è ministro dell’Interno, ma in realtà anche degli Esteri e della Difesa. Meno appariscente di Gentiloni, fa però molto di più di lui. È lui che oggi garantisce difesa e antiterrorismo per tutta l’Europa. È allora l’unico pezzo essenziale di qualunque governo futuro.
La verità vera perciò, al di là delle favole, è che senza Minniti l’Italia e la Ue in questi anni non avrebbe retto. Quindi se dopo le elezioni nel governo lui fosse sostituito, non sarebbero tanti a fidarsi dell’Italia, chiunque arrivi.