A venti giorni dal voto cresce sempre più la sensazione che i giochi veri si faranno dopo il voto, a meno di clamorosi (e poco probabili) colpi di scena. Tutto dipenderà dai numeri, ma non direttamente dalle percentuali dei singoli partiti, bensì dai numero di seggi nel prossimo parlamento. Con il Porcellum un premio di maggioranza che portava al 55 per cento dei seggi scattava per la coalizione che raggiungeva il 40 per cento. Adesso potrebbe bastare, oppure no. 



Siamo di fronte a una legge elettorale tutta nuova, alla sua prima applicazione, e nessun può essere certo di poterne prevedere i risultati. E’ vero che i due terzi dei seggi verranno assegnati con il metodo proporzionale, ma a fare la differenza potrebbero essere gli altri, quel terzo dei posti da deputati e senatore che si decideranno nei collegi uninominali, dove basta un voto in più per vincere.



Sui giornali c’è chi alimenta la credenza che se il centrodestra, la coalizione che appare nettamente in testa, dovesse raggiungere il 40 per cento dei consensi a livello nazionale, riuscirebbe ad avere una seppur risicata maggioranza in parlamento. In realtà, da solo il 40 per cento non basta. Tutto è legato al numero di collegi vinti. E secondo Roberto D’Alimonte, per avere la maggioranza il centrodestra ne dovrebbe vincere il 70 per cento. Un livello oggettivamente difficile.

Secondo letture concordanti a nord del Po il centrodestra dovrebbe fare man bassa di collegi, mentre nelle tradizionali regioni rosse il Pd dovrebbe difendere parecchi posizioni. La battaglia dei collegi, quella decisiva, si giocherà quindi nelle regioni meridionali, da Roma in giù, dove lo scontro sarà fra i candidati targati Berlusconi-Salvini-Meloni e i grillini. Se il centrodestra vorrà giocarsi una chance di avere una maggioranza autonoma, proprio sul Sud dovrebbe concentrarsi.



A oggi tutti i tentativi di proiettare i numeri dei sondaggi in seggi mostrano una prospettiva di ingovernabilità. Se prendiamo ad esempio l’ultimo lavoro dell’Istituto Index, al centrodestra mancherebbero 22 seggi per arrivare alla maggioranza assoluta a Montecitorio. Mentre ne mancherebbero 24 alla prospettiva di una riedizione del governo delle larghe intese, quello che potrebbe vedere insieme democratici, azzurri e centristi di entrambi gli schieramenti eletti nei collegi uninominali. A qualunque altra ipotesi di coalizione, anche la più ardita, mancherebbero molti più seggi per potersi concretizzare. 

Quale delle due ipotesi ha maggiori possibilità di diventare realtà? Centrodestra o larghe intese? Un dato è certo: negli ultimi giorni Salvini sembra essersi fatto più guardingo, forse anche per via dell’esser stato sfiorato dai fatti di Macerata. Si è spinto a dire a Berlusconi in televisione, ospite di Lucia Annunziata, che sono molte di più le cose che uniscono di quelle che dividono le formazioni del centrodestra. Parole nuove, che potrebbero essere indice del timore di essere tagliato fuori. 

Se si prende per buono il comportamento prudente di Salvini vien da pensare che l’ipotesi delle larghe intese sia la più concreta, al momento. Vi è un’evidente spinta europea in questa direzione, accresciuta dopo il concretizzarsi della nuova Grosse Koalition fra democristiani e socialdemocratici in Germania. Per realizzarsi, però la GroKo nostrana ha bisogno di qualche movimento ulteriore, soprattutto nel perimetro del centrodestra.

C’è un dato che potrebbe fare la differenza: se i centristi di Noi con l’Italia riusciranno o meno a superare la soglia del 3 per cento. Oggi i sondaggi indicano la soglia assai vicina (si va dal 2,5 di Piepoli al 2,9 di Tecnè), con un sospetto di sottovalutazione su una formazione dal sapore antico. Se il 3 per cento fosse raggiunto, Cesa e soci incasserebbero una quindicina di deputati sottraendoli ai compagni di coalizione, quindi anche a Lega e Fratelli d’Italia. Se, infatti, il risultato dello scudocrociato si attestasse fra l’1 e il 3 per cento, ai fini dell’assegnazione dei seggi quei consensi verrebbero ripartiti fra gli alleati, in base al rispettivo peso elettorale. Immaginando di aggiungere ai rappresentanti della “quarta gamba” una manciata di eletti all’estero, l’obiettivo di una maggioranza numerica per un esecutivo di larghe intese sarebbe quindi a portata di mano. E — a certe condizioni — non lascerebbe insensibile neppure Liberi e uguali. 

Ancora una volta i numeri destinati a pesare di più saranno quelli delle regioni meridionali, dove i centristi hanno i loro bacini elettorali, si pensi alla Sicilia, dove alle recenti regionali le due liste di area hanno ottenuto complessivamente il 14 per cento, con oltre 270mila voti. Sarà poi il presidente Mattarella a dovere valutare i numeri per scegliere la via che porti ad avere una maggioranza e un governo. Cinque mesi di trattative, come in Germania, dove dal 24 settembre si attende la formazione del nuovo esecutivo, sono difficilmente immaginabili nel nostro paese.