Mentre si assiste agli eventi che si stanno producendo in terra tedesca, lo spettro della grande coalizione ha iniziato ad agitare anche la campagna elettorale nostrana, da alcuni fortemente temuto, screditato con il noto termine “inciucio”, foriero di drammi per la democrazia pluralista (quali quello di derubricare l’opposizione a scelte antisistema), da altri tacitamente prefigurato come una delle tante possibilità, valida soprattutto per escludere dal Governo le forze più estreme del panorama politico, dato e non concesso che ve ne siano i numeri.
Che cosa sta alla base di quest’ambiguità nel valutare tale prospettiva? Ha ragione chi non esclude una riedizione delle “larghe intese” o chi invece la demonizza alla stregua del più ignobile tradimento?
Sul piano istituzionale può essere importante riflettere, prima di prendere posizione, su quale sia il rapporto corretto tra promesse elettorali e programmi di governo, tra coalizioni elettorali e coalizioni di governo, tra appartenenza al partito con cui ci si è presentati alle elezioni e al gruppo parlamentare acquisito dopo le elezioni.
Sul primo punto: le promesse elettorali non sono un contratto con gli elettori; esse risentono, soprattutto sul piano della comunicazione, della corsa alla ricerca del consenso che spinge alle più svariate intemperanze. L’elettore accorto approfondirà la conoscenza dei programmi e saprà distinguere quindi tra quanto si urla nelle piazze e nei talk show da quanto i partiti intendono realmente realizzare, posto che siano poi in grado di comporre una maggioranza.
Quanto poi al rapporto tra coalizioni elettorali e coalizioni di governo, la tendenziale coincidenza tra le due è stata uno dei cavalli di battaglia della seconda repubblica, che l’ha anche in parte realizzata giovandosi di sistemi elettorali a tendenza almeno parzialmente maggioritaria; oggi, in presenza di un sistema elettorale tendenzialmente proporzionale e di aggregazioni partitiche con spiccati elementi di eterogeneità, occorre aver ben chiaro che l’unica “coalizione” che conterà sarà quella capace di aggregare almeno il 50 per cento più uno dei consensi dei parlamentari intorno ad un programma di governo. Le aggregazioni elettorali sono funzionali alla conquista dei seggi in Parlamento mentre ogni promessa circa il futuro governo resta fumosa: è futile infatti che Forza Italia e Pd facciano prove di grande coalizione, che Lega da un lato e M5s dall’altro si affannino a dichiarare che non si alleeranno con nessuno, che altri profetizzino veloci ritorni alle elezioni eccetera; insomma, ogni anticipazione oggi su quello che succederà all’indomani delle elezioni è anch’essa finalizzata a guadagnare consensi ma potrà essere smentita nella corsa al governo (anche qui l’esempio tedesco può dare qualche spunto di riflessione), anche perché — nonostante i sondaggi — nessuno è in grado di prevedere il risultato di un sistema elettorale mai sperimentato e quantomai complesso, soprattutto per quanto riguarda la parte proporzionale che è preponderante.
Da ultimo, in un regime costituzionale che presenta il divieto del mandato imperativo, vincolare i parlamentari alla appartenenza ai partiti di provenienza è quantomeno assai problematico e, ad ora, mai riuscito nemmeno tra i partiti più accaniti nel tentarlo e, forse, nemmeno tanto auspicabile in una democrazia liberale.
Ora, se da un lato è legittimo manifestare in anticipo gradimento o ostilità alla prospettiva delle larghe intese, è pur vero che gli argomenti a sostegno dell’una o dell’altra tesi sono manifestazione di opzioni politiche e non di vincoli di altra natura, istituzionali o morali che siano.
Detto questo, quanto accadrà nel dopo elezioni è e resta un problema aperto, consegnato per la soluzione ai partiti sotto la regia del Capo dello Stato. Ad essi spetta identificare, calato il sipario elettorale, se e come sia possibile dare un governo al Paese, un Governo di uomini esperti e capaci che sappia proporre un programma che sintetizzi, ove possibile, gli aspetti migliori dei programmi elettorali e che possa aggregare una coalizione in grado di realizzarli perché adeguatamente sostenuta dalla maggioranza parlamentare. Se questo è lo scopo che tutti ci auguriamo, escludere dal novero una qualunque delle possibili formule governative non giova, oggi, a compiere oculate scelte elettorali.