Si deciderà al Sud il destino della prossima legislatura. A quanto dicono i sondaggi tutto dipenderà dal risultato nei collegi uninominali, dove la partita è tra centrodestra e M5s. Se sarà il centrodestra a prevalere, è più probabile la possibilità di un esecutivo Berlusconi-Salvini-Meloni, tenuti insieme dal collante di Palazzo Chigi con il sostegno di qualche decina di responsabili di varia provenienza; anche dal Pd di Renzi, soprattutto se nelle urne il suo risultato fosse più vicino al 20 per cento che al 25. Scenario tutt’altro che da scartare.
Se invece fossero i 5 Stelle a prevalere, si allontanerebbe la possibilità di una tenuta politica o numerica di qualsiasi altra maggioranza, aprendo la strada a un governo di decantazione istituzionale. Il cui primo obiettivo non potrà non essere una legge elettorale che consenta un ritorno alle urne con esiti di stabilità e di più credibile rappresentatività degli eletti, a fronte della sconcertante selezione del ceto politico che il 4 marzo proporrà una legge elettorale pensata male e interpretata, pressoché da tutti, al peggio nella composizione delle liste.
Alla prova dei fatti il risultato più probabile al Sud è un’affermazione dei 5 Stelle, anche al di là di quello che dicono i sondaggi. Va in questa direzione il “sentimento” del Paese, diviso come ha argomentato De Rita tra “nostalgia” e “risentimento”. Con la “nostalgia” – delle aree che ancora tengono del Paese e dei ceti che sono riusciti a difendersi meglio dal declino economico – che guarda, per il timore di non farcela più a tenere le posizioni, al centrodestra nelle sue varianti moderate o sovraniste, come l’unica aggregazione capace di garantire il “sistema”. E con il “risentimento” delle aree depresse del Paese e dei ceti disagiati che guarda sempre più decisamente ai 5 Stelle.
È ovvio che in questo quadro il Sud, il primo a uscire dalla copertura del welfare nazionale (due soli dati: ormai al Sud si muore alcuni anni prima che nel resto dell’Italia; per mancanza di lavoro c’è un’emigrazione di massa del suo migliore capitale sociale giovanile), è l’arena elettorale migliore per uno sfondamento di M5s. Al Sud c’è una larga Italia che non ha nulla da perdere, e su cui anche il mantra di una vittoria dei 5 Stelle come un “salto nel buio” ha poche possibilità di far presa, perché è un’Italia che già sta e si vede al buio, e nei pentastellati non avverte rischi aggiuntivi a quelli di cui si carica ogni giorno.
Ammesso che sia sensato il messaggio del salto nel buio da parte di un establishment politico che negli ultimi dieci anni al buio in cui è caduta la parte più debole del Paese ha dato poche o nessuna risposta. Si aggiunga – come dimostrava l’altro ieri a campione sulla Campania, sul Corriere della Sera, Antonio Polito – che l’interpretazione migliore delle candidature nei collegi uninominali, e cioè non di ceto politico neppure “grillino”, l’hanno data proprio i 5 Stelle, e si avrà un motivo in più per immaginare per loro un risultato al Sud più cospicuo di quel che già sembra certo. E questo voto che va verso i 5 Stelle è poco diversamente orientabile sul terreno dalla politica locale al Sud, per lo più di scarsa autorevolezza e con le casse vuote. Fondamentalmente il voto ai 5 Stelle è voto d’opinione “contro” la propria condizione sociale ed esistenziale messa in capo come responsabilità alla politica “tradizionale”. Sul versante del “sistema” politico, al Sud sembra tardi per tutti rendersi credibili da parte di chi, da due o tre lustri a questa parte, l’ha cancellato dalla propria agenda.
Per rimettere il Sud nel cuore del Paese, e il cuore del Sud sul Paese, in asse con il Paese, ci sarebbe bisogno di un leader e di una politica che nelle urne del 4 marzo non c’è. Magari sarà per il prossimo giro.