“Lo scenario è molto fluido, dobbiamo ancora prendere le misure al Rosatellum e fare previsioni attendibili diventa molto difficile. Questo rafforza il ruolo decisivo del capo dello Stato, che sarà chiamato a trovare una maggioranza in grado di guidare il Paese. Penso che la soluzione a cui si arriverà sarà un governo di coalizione, mentre va assolutamente scongiurata l’idea, nel caso in cui dal voto del 4 marzo non dovesse uscire un vincitore chiaro, di tornare alle urne con la stessa legge elettorale. Anzi, il Rosatellum va corretto ridando più potere di scelta agli elettori e maggiore trasparenza nella scelta delle candidature. Perché il fossato tra Paese reale e Paese legale si sta pericolosamente ampliando. Abbiamo un problema di sostenibilità della democrazia che non va più ignorato o sottovalutato”. Enzo Cheli, costituzionalista, giudice costituzionale dal 1987 al ’96 e presidente dell’Agcom dal 1998 al 2005, prevede che il presidente Sergio Mattarella si prenderà tutto il tempo necessario per trovare la giusta soluzione a un groviglio post-elettorale assai complicato e pur consapevole delle pressioni esterne (Ue e mercati finanziari non amano l’incertezza) e di quelle interne (un Paese diviso, rancoroso, sempre più lontano, specie i giovani, dai partiti e dalla politica).
Professore, per sondaggisti e politologi lo scenario più probabile è che la mattina del 5 marzo nessun partito uscirà vincitore dalle urne. A quel punto avremo un governo degli elettori o un governo del presidente Mattarella?
Qualunque sarà l’esito del voto del 4 marzo non ci sarà alcuna alternativa o contrapposizione tra voto degli elettori e voto del presidente, perché il capo dello Stato avrà a disposizione ampi margini di decisione per individuare la volontà degli elettori. Anzi, nei momenti di maggiore incertezza, sarà ancora più importante il suo compito di cercare di costruire una maggioranza. Il dato certo è che siamo di fronte a una situazione ancora molto fluida, dove è quasi impossibile fare previsioni attendibili.
Perché?
Innanzitutto, perché dobbiamo sperimentare sul campo una nuova legge elettorale, il Rosatellum, finora mai utilizzata, specie nel nuovo dosaggio tra quota maggioritaria e quota proporzionale. In secondo luogo, si deve fare i conti con un elevato tasso di astensionismo. Terzo punto, è difficile misurare la capacità di attrazione che esercitano le attuali coalizioni in lizza. Infine, va considerata l’incognita dei voti nulli, la cui entità è difficile da misurare, perché il Rosatellum, con la sua impossibilità a distinguere tra voto maggioritario e voto proporzionale, potrebbe indurre molti elettori all’errore, e dunque all’annullamento del voto.
Una matassa assai ingarbugliata e questo potrebbe rallentare il lavoro di Mattarella. E’ possibile immaginare una roadmap del Colle?
Il vantaggio del sistema istituzionale italiano è quello di offrire un ampio ventaglio di possibilità. Al momento abbiamo quattro schieramenti in campo: tre coalizioni diverse più un partito – meglio, una forza politica che si definisce movimento – che ha deciso di correre da solo. Tutto ovviamente dipenderà dall’esito del voto. Ma si può immaginare che, in base ai risultati che si manifesteranno il 5 marzo, il capo dello Stato avrà davanti almeno quattro possibilità di manovra.
Partiamo dalla prima, attualmente la più probabile…
Sì, è legata all’ipotesi oggi considerata più plausibile, e cioè che la coalizione di centrodestra raggiunga o si avvicini molto al 40% dei voti e al 50% dei seggi. Se dovesse accadere, il risultato indurrà il presidente della Repubblica a verificare se e come il centrodestra possa costruire una maggioranza e un governo. In seconda battuta, verrà verificata analoga possibilità di una maggioranza e di un governo con il centrosinistra. In terzo luogo, c’è l’ipotesi di un governo di grande coalizione, che in pratica è un grande governo centrista.
E il quarto scenario?
Diciamo che è quello che racchiude la scelta del presidente più “forte”: valutare l’entrata in gioco del M5s, soprattutto se, come dicono oggi i sondaggi, si confermerà nelle urne come il singolo partito con più voti. A quel punto la sua presenza non può che essere accolta. E toccherà dunque al M5s verificare la possibilità di tentare un allargamento dello schieramento verso destra o verso sinistra. C’è un solo scenario che tenderei a escludere con forza.
Quale?
Che, se dalle urne non uscirà una maggioranza, si debba tornerà a votare, come si è fatto in Spagna, una seconda volta con la stessa legge elettorale.
Perché è uno scenario da scongiurare?
Sarebbe una vera sciagura. Ci ritroveremmo, dopo mesi di stallo o di litigi, con un risultato elettorale simile o molto simile a quello precedente. E ciò aggraverebbe molto il clima politico italiano. Insomma, per il capo dello Stato lo scioglimento immediato delle Camere subito dopo il voto è un’opzione assolutamente da scongiurare.
Verificate senza successo queste quattro possibilità, a quel punto si potrebbe andare verso un governo del presidente?
Non sarebbe certo una brutta cosa. Lo abbiamo già sperimentato con il governo Ciampi scelto da Scalfaro e con il governo Monti promosso da Napolitano. Si tratterebbe di un governo tecnico il cui compito sarà gestire l’ordinaria amministrazione e tentare la modifica o la riscrittura di una nuova legge elettorale. Ma sono sicuro che il presidente Mattarella prima di arrivare a questo passo tenterà tutte le possibili soluzioni a cui accennavo prima. Solo alla fine potrebbe scegliere una personalità prevalentemente tecnica e di prestigio attorno a cui coagulare il sostegno o quanto meno l’astensione e la non opposizione delle forze politiche.
Per il Colle si prospetta un lavoro lungo e complesso. Ma i mercati finanziari e l’Europa quanto tempo saranno disposti a concederci? Per quanto tollereranno l’incertezza politica o un quadro istituzionale instabile?
Le pressioni esterne ci saranno, non c’è dubbio. Ma va segnalato il fatto che oggi i tempi della politica e quelli dell’economia coincidono sempre meno. In Belgio e in Spagna hanno passato mesi senza un governo, ma l’ordinaria amministrazione non si è fermata e i mercati non hanno infierito.
Escluso lo scenario di un ritorno alle urne, bisognerà avviare l’iter per una nuova legge elettorale. Quanto tempo richiederà e quale maggioranza potrà portare avanti questa operazione?
Se la legge elettorale è espressione di una maggioranza e all’interno di questa le singole forze non giocheranno una partita in proprio, per trarne vantaggi tattici di breve periodo, ma si guarderà all’interesse nazionale, l’iter non dovrebbe essere lungo. E da questo punto di vista avere un governo tecnico, guidato da una forte personalità non politica, potrebbe favorire la stesura di una buona legge elettorale. Di certo, una riforma elettorale non si fa alla vigilia di un voto, è profondamente sbagliato. Una buona legge elettorale non è mai frutto di bizantini compromessi politici tra forze che litigano tra loro per interessi elettorali particolaristici e malamente dosati. Trattative tecniche possono portare a buone soluzioni tecniche. Ed è quel che ci vuole.
Quali difetti del Rosatellum andrebbero corretti?
Il Rosatellum ha diversi punti deboli da correggere: ha ridotto il potere di scelta degli elettori, ha introdotto un nuovo dosaggio tra maggioritario e proporzionale, a netto vantaggio del secondo, e contraddicendo il percorso istituzionale degli ultimi 25 anni ci ha fatto fare un brusco salto all’indietro, quando si era scelta la via del maggioritario per garantire la governabilità magari comprimendo un po’ la rappresentanza. Il mio auspicio è che si torni a dare più potere di scelta agli elettori, a meccanismi che possano garantire maggiore trasparenza nella scelta delle candidature, magari prevedendo anche la formula delle primarie, e bisognerebbe ridare spazio, anche in misura limitata, alle preferenze. Ma soprattutto bisogna ripristinare, come scelta di fondo, il percorso iniziato nel 1993 con il Mattarellum: non andava abbandonato, visto che in questi 25 anni per due o tre legislature ha consentito un’alternanza tra centrodestra e centrosinistra.
Torniamo agli scenari post voto. Le larghe o larghissime intese sono un male assoluto? Perché sono diventate sinonimo di inciucio? E sono davvero un tradimento della volontà degli elettori?
Definire le larghe intese con il termine dispregiativo di inciucio è una devianza culturale che non capisco e non condivido. Se le larghe intese consentono di trovare una soluzione, come governo di coalizioni diverse, a un problema che pare irrisolvibile non sono un male. Certo, richiedono un compromesso più impegnativo e radicale. E paradossalmente possono funzionare proprio quando gli elettori sono troppo divisi, con il rischio di lacerazioni profonde. Unificare forze diverse per dare governabilità a un Paese, come ancora ha fatto recentemente la Germania, richiede un grande sforzo e non significa certo tradire la volontà degli elettori.
Un’ultima domanda. Astensionismo elevato, indifferenza dei giovani verso la politica, voto dettato dalla rabbia anti-sistema, clima generale del Paese all’insegna del rancore. Anche questi fattori sociali peseranno nelle scelte del capo dello Stato? Dobbiamo temere opposizioni e proteste dure anche fuori dalle aule parlamentari?
E’ un aspetto da non trascurare. Qualsiasi riforma elettorale o istituzionale, che finora aveva messo al centro il tema della governabilità, oggi deve fare i conti con un problema ancora più grave: il crescente distacco tra Paese legale e Paese reale. C’è una questione di sostenibilità della democrazia. Bisogna giocare la carta delle riforme per ridare slancio alla democrazia, favorendo maggiore partecipazione dei cittadini e maggiore capacità di esprimere la propria volontà politica.
(Marco Biscella)