Venerdì è stata una giornata campale per Paolo Gentiloni sul fronte tedesco, al mattino a Berlino con Angela Merkel e la sera in tv a La7 con Lilli Gruber. Alla prima il premier ha garantito che farà di tutto perché dopo il voto del 4 marzo sia formato un governo, cosa tutt’altro che scontata; ospite della seconda, in una delle rare interviste televisive finora concesse, ha lanciato vari messaggi in bottiglia. Gentiloni in questo momento deve muoversi da garante, sia verso i partner europei che continuano a domandarsi se l’Italia uscirà indenne da un turno elettorale che rischia di precipitare il Paese in un vortice di ingovernabilità; e sia verso gli elettori del Pd, disorientati dalla leadership di Matteo Renzi.



Il premier ha detto in tv che con il segretario Pd non ci sono problemi di rapporti e che parteciperà presto a una manifestazione elettorale con Renzi anche se non si conosce ancora né il giorno né il luogo. Nel frattempo si fa vedere con chiunque altro: con Calenda, che non è candidato; con la Bonino, che guida +Europa; e ieri con Prodi, che si è schierato con Insieme, la lista che include socialisti, verdi e appunto prodiani di stretta osservanza guidati da Giulio Santagata. Gentiloni ha rivelato alla Gruber che da tutta Italia lo cercano per la campagna elettorale, ma lui deve curare il proprio collegio a Roma e fare anche il primo ministro, perciò le sue uscite devono essere centellinate. Ma guarda caso, finora la sua agenda e quella di Renzi non hanno mai trovato un appuntamento comune.



Si sta consumando una presa di distanza dal segretario Pd, ormai rimasto solo con i fedelissimi del Giglio magico. La scelta di Prodi è emblematica: non con gli scissionisti di Liberi e uguali, “amici che sbagliano” in quanto hanno rotto quel romantico sogno di una sinistra unita sotto le fronde dell’Ulivo lanciato dal Professore oltre vent’anni fa, ma neppure (almeno direttamente) con il Pd di Renzi che non è più il partito riformista e federatore che volevano i suoi fondatori. Gentiloni, che appartiene a quella generazione con Rutelli, Veltroni, Franceschini e appunto Prodi, ha detto che “l’Ulivo è il tessuto del centrosinistra”. 



Prodi sa che Insieme è una realtà debole, che se supererà l’1 per cento i suoi voti finiranno al Pd mentre se resterà sotto andranno dispersi, e che in ogni caso il 3 per cento necessario per arrivare in Parlamento è un puro miraggio. Ma corre il rischio. È un ultimo avvertimento a Renzi: questa volta l’appoggio, benché indiretto, c’è perché “è il momento in cui si decide il futuro del Paese”; ma nel futuro, soprattutto se si dovesse tornare alle urne a stretto giro, oppure se Renzi dovesse creare un nuovo soggetto politico privo delle ultime zavorre da rottamare, gli ulivisti unitari sono pronti a riaggregare le frange disperse della sinistra. E non è detto che Gentiloni, definito da Prodi “la serietà al governo”, resti con il Giglio magico.

Per il premier ci sono spazi per recuperare sul centrodestra. È uno dei pochi nel Pd a non prendersela troppo con i 5 Stelle ma a sottolineare che la coalizione tra Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia e quarta gamba è tutt’altro che un blocco coeso. Gli avversari non perdono occasione di dargli ragione: ieri Silvio Berlusconi ha sfoderato un formidabile argomento per conquistare voti, precisando di non essere la fata turchina ma di possedere la “bacchetta magica di mago Silvio”; d’altra parte Matteo Salvini ha garantito che il Cavaliere entrerà nel suo governo da ministro perché sarà lui, il leader leghista, ad avere un voto in più per insediarsi a Palazzo Chigi. Il proporzionale è così, bisogna rubare voti agli avversari ma anche agli alleati. Di sicuro, però, la lotta è più accesa dalle parti di Berlusconi che di Gentiloni.