Due giovani donne sedute l’una accanto all’altra, la prima bruna con la testa cinta d’alloro, la seconda bionda con una coroncina di fiori, si tengono le mani scambiandosi sguardi affettuosi. Sullo sfondo, due paesaggi, una chiesa romanica dietro la bruna, un campanile gotico dietro la bionda. Il titolo è “Italia und Germania”, il quadro allegorico (riportato a fondo di questo articolo) si trova alla Neue Pinakothek di Monaco ed è stato dipinto da Friederich Overbeck. Correva l’anno 1828 ed entrambe, l’Italia e la Germania, erano solo espressioni geografiche. Nessun artista italiano o tedesco oggi potrebbe mai immaginare un tale scambio di affinità elettive tra due paesi che si sono incontrati e scontrati a lungo durante i due secoli successivi. Eppure ora più che mai lo spirito di Overbeck torna a rivelarsi. Perché Italia e Germania spesso così lontane, così divise, non possono fare a meno l’una dell’altra. La crisi del 2011 dimostra che cosa può accadere se l’Italia, anello debole della catena, si spezza. Ma sarebbe persino peggio se la Germania si lanciasse in politiche commerciali ostili visto che rappresenta il maggiore sbocco delle nostre merci.



Una questione tedesca, dunque, aleggia sulle elezioni del 4 marzo e una questione italiana sta, volente o nolente, anche dentro il nuovo assetto politico tedesco. L’incontro di venerdì scorso tra Paolo Gentiloni e Angela Merkel è servito a ricordarlo, anche se si è risolto con qualche dichiarazione pre-elettorale da parte del capo del governo italiano uscente e con discorsi di prammatica da parte della Cancelliera entrante. Non è chiaro chi uscirà vincente dalle urne, né quale maggioranza e, di conseguenza, quale governo si formerà. Ma una cosa è certa: nel prossimo parlamento italiano saranno più numerose e pugnaci le forze euroscettiche e quelle ostili alla Germania guidata dalla Merkel.



Se vinceranno le forze populiste, si arriverà a un vero e proprio scontro diplomatico (a meno che i tamburi di guerra non siano del tutto strumentali, il che è sempre possibile). Se a palazzo Chigi andrà una personalità che “piace a tutti i paesi”, come ha detto Silvio Berlusconi oggi dato quale potenziale vincitore, dovrà tener conto del nuovo clima e questo avrà un’influenza sulla politica europea a Roma come a Berlino. Ma anche se restasse Gentiloni che la Merkel ha ringraziato soprattutto per la politica seguita nei confronti dei migranti, o se andasse (ipotesi per ora lontana) un altro esponente del Partito democratico, le questioni aperte sarebbero sempre le stesse. E non ci sarà modo di risolverle senza un accordo con la Germania.



Prendiamo ad esempio l’austerità. Se a Berlino la grande coalizione si formerà rispettando il programma reso noto, la politica economica tedesca dovrebbe cambiare con un aumento dei consumi interni e soprattutto degli investimenti, fino al punto da ridurre in modo considerevole l’attivo della bilancia con l’estero. Si tratta di grandi somme (il surplus ammonta a circa trecento miliardi di euro) e ciò può offrire occasioni importanti anche all’Italia, si pensi ad esempio all’alta velocità. L’espansione tedesca farebbe da locomotiva per tutta l’Europa.

Tuttavia non cambierà la pressione di Berlino affinché l’Italia porti in equilibrio le finanze pubbliche, riduca il debito e applichi il Fiscal compact. Non sono questioni teoriche. Basti pensare che il primo grattacapo del prossimo ministro dell’Economia sarà come trovare 15,7 miliardi di euro per evitare l’aumento dell’Iva previsto dalle clausole di salvaguardia, misura rinviata, non risolta, da Pier Carlo Padoan.

Strettamente collegata è anche la governance dell’area euro, in particolare il profilo e i poteri del ministro delle Finanze. Qui Roma è più vicina a Parigi, vuole una figura politica dotata di un bilancio consistente da impiegare in investimenti su scala europea. Berlino pensa, almeno finora, a un guardiano delle politiche fiscali dei singoli paesi. La partita è molto complessa e s’incrocia con un importante risiko che investe tutte le principali poltrone.

L’anno prossimo si terranno le elezioni europee e, nello stesso tempo, scadrà il mandato di Mario Draghi. Molti dicono che la Germania vorrebbe la Banca centrale europea, in realtà, Frau Merkel punta a diventare la presidente dell’Unione al posto di Donald Tusk. Per raggiungere questo obiettivo sarà essenziale l’appoggio di Emmanuel Macron (e potrebbe lasciare a un francese la Bce), ma non può avvenire nemmeno contro l’Italia che è pur sempre il terzo azionista di questa singolare impresa. Nel gioco di scambio che si prepara, il prossimo inquilino di palazzo Chigi dovrà dosare bene le sue carte per non rischiare l’isolamento.

Su due altri dossier Italia e Germania marciano finora uniti: l’immigrazione e la difesa europea. Il primo è senza dubbio il più difficile. Il tema dei migranti è cruciale nelle elezioni italiane, ma lo è stato anche in quelle tedesche ed è costato caro sia alla coalizione democristiana, sia ai socialdemocratici. Rivedere gli accordi di Dublino è un impegno comune, però di qui a capire come ce ne corre. “C’è stata – ha detto la Merkel nella conferenza stampa dopo l’incontro con Gentiloni – una stretta collaborazione con l’Italia su migranti. Le attività di Roma sono importantissime. Negli ultimi anni abbiamo avuto una stretta cooperazione fra Italia e Germania, soprattutto per la questione della migrazione. Le attività sulla rotta nel Mediterraneo sono eminenti ed estremamente significative”. Ciò prefigura una sorta di divisione del lavoro che affida agli italiani il ruolo di guardiani del Mediterraneo, mentre ai tedeschi spetta il fronte centro-orientale e quello balcanico. Una divisione che, come si può capire, può avere conseguenze sulla futura difesa europea.

Anche qui, Roma è più in sintonia con Berlino che con Parigi. È vero che Macron spinge molto, ma la Francia, potenza nucleare, vuole la leadership, mentre l’Italia che sul piano militare è più avanti della Germania (soprattutto la marina) non ha interesse a restare schiacciata dalla “force de frappe” transalpina. Un futuro esercito europeo che sia equilibrato, dunque, dovrà trovare più spazio a italiani e tedeschi, i quali stanno facendo passi da gigante per attrezzare delle forze armate in grado di intervenire ad ampio raggio, come segnala una recente inchiesta del Financial Times.

Su questi cinque capitoli chiave del romanzo italo-tedesco (ed europeo) non si trovano molte tracce chiare nei programmi dei partiti. Soprattutto non c’è nulla sulla difesa e tanto meno sul giro di poltrone (non si possono fare nomi, è ovvio, ma almeno qualche indicazione per capire quale posizione è considerata strategica per l’Italia). Dunque, dovremo aspettare. Se poi finirà con una sorta di stallo, senza maggioranza chiara e senza un governo in grado di governare davvero, allora Italia e Germania si troveranno di nuovo insieme, mano nella mano, ma non sarà certo un bel matrimonio.