A meno di due settimane dal voto le nubi cominciano a diradarsi, e a emergere dettagli che possono anticipare le mosse del dopo voto, quando si giocherà presumibilmente la vera partita per la governabilità. E Matteo Renzi sembra sia stato pervaso da una botta di realismo. Certo, le sue dichiarazioni nel salotto tv di Lucia Annunziata vanno lette in controluce. Ma sono una lettura istruttiva.
La frase chiave è “Gentiloni può giocarsi le sue carte”. Un’apertura inattesa sino a qualche giorno fa, e poco importa se sia una svolta convinta, oppure costretta dalle circostanze, dalle pressioni esterne e dai numeri. Quelli indicati dai sondaggi un attimo prima del blackout previsto dalla legge sono da allarme rosso: descrivono un centrosinistra in crisi profonda, dieci punti dietro al centrodestra, e con la lista di Emma Bonino che succhia voti a un Pd indicato da alcune rilevazioni sotto il 22 per cento e secondo alcuni voci ancora più giù. Possibilità di vittoria ridotte praticamente a zero. E di conseguenza zero probabilità per Renzi di ritornare a Palazzo Chigi, a meno di autentici miracoli. Unica carta in mano al centrosinistra, appunto, l’attuale presidente del Consiglio, apprezzato da amici e avversari, in Italia, come a Bruxelles e come a Berlino o Parigi.
Se c’è uno schieramento che può vincere, questo è il centrodestra. Ma si tratta di un’ipotesi ancora abbastanza lontana. La prospettiva più concreta rimane quella di tentare la via di un’ampia convergenza per il dopo. E in questo scenario Renzi pare ammettere che le chances di Gentiloni di riuscire siano infinitamente superiori alle sue.
Un altro dettaglio non irrilevante è nell’affermazione di non vedere differenze fra governo di unità nazionale e larghe intese. In fondo questa è distinzione assai sottile. La sostanza è invece nello schieramento delle forze che possono costruire insieme una maggioranza. Renzi chiude le porte alla collaborazione “con gli estremisti”, ma non è chiaro chi possa comprendere, se i soli Salvini e Meloni, oppure anche Berlusconi. Non è chiaro neppure se voglia dire no a una collaborazione con Liberi e Uguali. Secondo Franceschini ogni ricerca di maggioranza deve partire dal rapporto a sinistra perché “in fondo sette mesi fa stavamo insieme nello stesso partito”. C’è poi anche il dato numerico, e cioè che la pattuglia di parlamentari che LeU riuscirà a portare in Parlamento potrebbe essere indispensabile a una convergenza Pd-FI-centristi dei due schieramenti per raggiungere la maggioranza assoluta. Pietro Grasso e i suoi lo sanno, e infatti lanciano segnali inequivocabili di interesse a sostenere un governo ampio “nell’interesse del paese”.
Che l’ipotesi prevalente sia (almeno per il Pd) quella di un’ampia coalizione è provato indirettamente da un altro dettaglio non trascurabile: che il bersaglio privilegiato degli strali polemici di Renzi sia il Movimento 5 Stelle, e non il centrodestra. O, meglio, non il partito di Berlusconi. Come a non scavare troppo il fossato con una forza politica con cui è probabile sia indispensabile collaborare dopo il 4 marzo.
Ma con la sua svolta realistica il segretario democratico sembra voler anche prevenire una dura resa dei conti interna che sarebbe più che probabile in caso di pesante sconfitta elettorale. Dimostrare di aver abbandonato per tempo le velleità di premiership a favore di Gentiloni dovrebbe — nelle intenzioni — metterlo al riparo dalle accuse di “cesarismo”, di voler essere “l’uomo solo al comando”, che ha portato il partito a sbattere pesantemente.
Non è detto che questo approccio più prudente e ragionevole possa bastare a salvare Renzi dal finire sul banco degli imputati. La svolta potrebbe rivelarsi tardiva, anche se il leader dem continua a parlare di “70 seggi borderline”, e la speranza di un risultato accettabile è ancora accesa. Imperativo, contenere le perdite. Per farlo Renzi ha manifestato l’intenzione di rivolgersi soprattutto al voto moderato, segnando così un’ulteriore spostamento al centro del baricentro del Pd, ma nulla oggi può far pensare che possa funzionare davvero.
In ogni caso con l’apertura al sostegno al Gentiloni bis Renzi dimostra di voler giocare da protagonista anche la fase del dopo voto. Nessuna intenzione di farsi da parte. In fondo, meglio rimanere al governo con le larghe intese che finire dimezzati e all’opposizione. E questa voglia di giocare sino in fondo la partita i suoi avversari interni dovranno tenerla ben chiara.
Poi tutto dipenderà dai numeri che matureranno nelle urne. Numeri che faranno la differenza per consentire di giocare da protagonisti o meno la partita della composizione del governo. Una partita che avrà come arbitro Mattarella, e che a oggi nessuno può sapere quale finale avrà.