Giornata strana quella di oggi per la campagna elettorale del Pd che da un lato vede di nuovo affacciarsi il “pericolo fascismo” manifestato dai vertici umbri del Partito Democratico dopo l’aggressione con coltello a due manifestanti di Potere al Popolo da parte, forse, di un gruppo di neofascisti (e ancora più forse, in risposta alla grave aggressione subita dal dirigente di Forza Nuova a Palermo) e dall’altro vede la “grana Boschi” esplodere del tutto in Alto Adige. In mezzo cresce la sensazione interna ed esterna ai dem che il vero valore aggiunto della Campagna e della prossima Legislatura possa davvero essere Paolo Gentiloni che offusca ogni giorno che passa la “stella” del segretario dem Matteo Renzi. Un endorsement di rilievo arriva dal doppio presidente emerito della Repubblica, Giorgio Napolitano: «Paolo Gentiloni è divenuto punto essenziale di riferimento per il futuro prossimo e non solo nel breve periodo della governabilità e della stabilità politica dell’Italia». Tesse le lodi del premier mentre snobba e non dedica neanche una parola per l’ex premier, forse non una casualità come quando dice «Un’attitudine all’ascolto e al dialogo e uno spirito di ricerca senza preclusioni da ministro degli Esteri e poi da presidente del Consiglio», diverso dai precedenti e, dunque, anche da Matteo Renzi.
BOSCHI CANDIDATA, SI SPACCA PD ALTO ADIGE
Matteo Renzi deve subire un altro “intoppo” nelle sue stesse file di partito: dopo il caos in Campania per il “De Luca-gate”, questa volta è il Trentino Alto Adige a porre non pochi problemi ai dem dopo che be 14 membri del Pd altoatesino se ne sono andati per protesta con le candidature “imposte dall’alto” di Gianclaudio Bressa e soprattutto Maria Elena Boschi. A 10 giorni dalle politiche, il Pd altoatesino si spacca: 14 esponenti, espressione della minoranza che fa riferimento al presidente del consiglio provinciale Roberto Bizzohanno annunciato la loro uscita dal Pd, rivela l’Ansa questa mattina dando spiegazione alle voci di “dimissioni di massa” dei dem altoatesini per la presenza dell’ex ministro come candidato del collegio Uninominale sulla scheda elettorale di Bolzano-Bassa Atesina. Tra i “dissidenti” che abbandonano la nave a pochissimi giorni dalle Elezioni, troviamo «l’assessora bolzanina Monica Franch, l’assessore del comune di Ora Luigi Tava, l’attuale consigliere comunale Mauro Randi e Miriam Canestrini, membro della segreteria provinciale». Secondo le prime spiegazioni fornite da Randi sui social, «Lascio il partito per coerenza. Nonostante l’impegno del segretario provinciale Alessandro Huber ci siamo trovati due candidature paracadutate. E’ una questione di metodo. Sono venuti meno i principi del confronto e del cambiamento per i quali all’epoca ho aderito al Pd».
“DIMISSIONI SOTTO 20%? NON ACCADRÀ”
È stato chiesto a Matteo Renzi se era pronto a dimettersi dopo un risultato pessimo alle prossime Elezioni, ad esempio un Partito Democratico sotto il 20%: ebbene, memore delle “promesse” fatte prima del Referendum Costituzionale (“mi ritiro dalla politica se vince il No”), questa volta si dimostra più accorto. «Assolutamente no, non mi dimetterò ma non accadrà visto che il Pd sarà il primo partito in Parlamento», si dice certo il segretario dem. Sempre a Circo Massimo con Giannini è stato chiesto al Renzi in calo nei consensi personali (o almeno così era prima del silenzio elettorale di venerdì scorso) se la concorrenza interna al Pd sia forte con il premier Gentiloni: «Siamo una squadra e siamo tutti in campo. Fate pubblicità comparativa, fate tre foto di gruppo. Da un lato c’è lo ‘spread team’ guidato da Berlusconi ma a trazione leghista, dall’altro c’è il M5s, che dove governa fa quel che è accaduto a Roma ed è il partito degli impresentanili e degli ex onesti. Il Pd è la squadra più forte e Gentiloni ha fatto molto bene il presidente del Consiglio». Ergo, Gentiloni è un ottimo punto a favore del Pd e l’ipotesi di un suo governo bis non è così da scartare; specie se dovesse esserci un accordo con FI di Larghe Intese che finora entrambi i leader rifiutano (mediaticamente) nella maniera più assoluta.
RENZI: “HA RAGIONE BERLUSCONI, NO LARGHE INTESE”
Il sud lo rifiuta, l’auto della moglie Agnese che sfreccia nelle Ztl del centro di Firenze fanno discutere, ma Matteo Renzi prova ancora a “strappare” per provare a convincere l’elettorato che nelle prossime Elezioni 2018 l’unica alternativa “seria” è proprio quella della coalizione di Centrosinistra. Con un distinguo che continua ad affermare un giorno sì e l’altro pure, dando l’impressione di chi fa di tutto per smentire quella cosa perché in realtà è un’opzione reale e possibile. Stiamo ovviamente parlando delle Larghe Intese, lo spauracchio dei partiti populisti e l’unica vera speranza dell’Unione Europea (e forse anche di Mattarella): Renzi e Berlusconi sono gli unici due che potrebbero avere la storia, la possibilità e il necessario grado di sopportazione dell’altro (non si sono mai odiati) per poter arrivare al Governo insieme nell’ipotesi di stallo senza maggioranza dopo le imminenti elezioni del 4 marzo.
Intervenendo stamattina a Circo Massimo su Radio Capital, il segretario del Pd conferma ancora che tale ipotesi in realtà non esiste, e piuttosto meglio tornare alle urne: «Silvio Berlusconi in questa fase ha ragione quando dice che è inutile pensare a larghe intese con il Pd. Ha torto quando pensa che il Pd non tiene. Sta facendo una campagna elettorale che nemmeno il mago Silvan: presenta cose o che non è riuscito a fare in passato o che abbiamo già fatto noi, come la rottamazione delle cartelle esattoriali o lo sblocco dei contratti pubblici», afferma Renzi, rispondendo a Massimo Giannini e Jean Paul Bellotto. Il giovane Matteo ne ha per tutti, da Di Maio – «strumentalizza il caso Campania per nascondere lo scandalo rimborsopoli» – al nemico Massimo D’Alema, «Ha tentato di distruggere il Pd dall’interno, ora lo fa dall’esterno». E torna subito alla mente che davvero l’unico con cui Renzi possa fare un governo è veramente quell’inquilino di Arcore già “sondato” in passato con il Patto del Nazareno.
DIARIO DELLA CAMPAGNA ELETTORALE: TRA RAGGI, DE LUCA E CENTRODESTRA
Le Elezioni 2018 si avvicinano a grandi passi e il contesto che abbiamo vissuto ieri nell’ennesimo giorno di campagna elettorale non si è distanziato poi molto da quello del giorno prima. Movimento 5 Stelle ancora “in seconda fila” come tematiche e fatti del giorno, Pd e Centrodestra invece più indaffarati per provare a recupera i voti necessari per essere rispettivamente primo gruppo parlamentare e prima coalizione nel Paese. Prosegue l’inchiesta sui rifiuti in Campania dove ad essere sotto l’occhio del ciclone è ovviamente il Governatore Vincenzo De Luca, il quale ieri ha deciso di querelare il leader M5s Luigi Di Maio per aver dato dell’assassino al figlio Roberto (indagato per gli appalti “truccati” sui rifiuti a Napoli, ndr). Sempre sul fronte Cinque Stelle, ieri è stata anche la giornata dell’archiviazione del sindaco di Roma Virginia Raggi per l’annoso caso della nomina di Romeo. “Fine di un anno di fango ingiusto tirato addosso”, ha commentato la sindaca M5s che regala un piccolo sorriso a Di Maio che dopo il caos rimborsi torna a vedere un briciolo di sereno in casa Cinque Stelle. Mentre Renzi prosegue nel suo attacco a testa bassa contro i populismi, e mentre proseguono le “trame” per una possibile Grosse Koalition all’italiana post-voto, il Centrodestra vede le acque sempre più agitate con la leadership che ancora mette l’uno contro l’altro Berlusconi, Salvini e Meloni. Non in forma diretta ma tra continue “punzecchiature” e accuse l’un l’altro di voler “tradire” la coalizione appena dopo il 4 marzo: l’ex Cav cerca di fare il federatore ma nello stesso tempo annuncia di voler “nominare” lui il nome del prossimo Premier. Il caos resta e le elezioni si avvicinano…