La presente campagna elettorale, oltre che per l’incertezza, pari forse a quella del ’48, sarà ricordata per la “rinascita” di Berlusconi. Ma anche il ritorno sulla scena politica nazionale del suo eterno rivale, Romano Prodi.

Due storie e due ambizioni che proprio dell’incertezza (sempre calcolata) hanno fatto l’arma vincente delle loro carriere politiche. L’uno “giustifica” l’altro, come sempre e — forse — più di sempre. Ma questa volta con una novità: entrambi sono dalla stessa parte della barricata. Dall’altra c’è il nemico comune: l’ideologismo populista dei 5 Stelle e della Lega.



Ed ecco che tutto appare improvvisamente diverso: quelli che erano gli alfieri delle fazioni contrapposte si ritrovano ad essere i “garanti del Paese”. Con stili indubbiamente diversi, ruoli apparentemente antagonisti ed interessi (anche personali) a prima vista divergenti se non addirittura contrapposti.

Nessuno dei due ha da chiedere molto: entrambi hanno rivestito le più alte cariche dello Stato senza però poter aspirare al sommo Colle. Pecca insopportabile per entrambi e che entrambi ambirebbero a sanare in quella che potrebbe essere, per entrambi, l’ultima vera chance.



Renzi, ben cosciente della posta in palio, ha mangiato la foglia e giocando d’anticipo ha tentato il classico due piccioni con una fava: sfondare a sinistra con la minaccia-avvertimento che “ogni voto dato a Grasso aiuterà il centrodestra a conquistare il Governo ed avvicinerà Berlusconi al Quirinale”, e risvegliare gli indecisi di centrosinistra per tentare una rimonta del Pd ridimensionando l’influenza (anche sul versante interno) del professore e delle sue “quirinarie” ambizioni.

Ma guardare solo a Roma rischia di rivelarsi un boomerang. Nella prossima legislatura, infatti, oltre alla partita del Colle (prevista per il 2022), si giocherà un altro importate match: quello dell’Europa con l’elezione del nuovo presidente della Commissione europea. Un uno-due che potrebbe armonizzare le eterne rivalità soprattutto se giocato di concerto al grande matador Gentiloni: uomo di larghe vedute oltre che di larghe intese (nel segno del Colle).



Gentiloni a Palazzo Chigi, Prodi al Quirinale e Berlusconi a Bruxelles; la stabilità è assicurata, l’Europa garantita. Con tanti saluti per i due Matteo (e la legge Severino).