Alle politiche del 1979 a Cittadella, collegio senatoriale del Veneto settentrionale, il candidato della Dc — un vecchio giurista e notabile locale — vinse con il 64% dei voti. Quattro anni dopo il segretario della Dc Ciriaco De Mita schierò nello stesso collegio un altro giurista, originario di Trapani: che risultò eletto, ma con una perdita secca di dieci punti percentuali. In quel 1983 la neonata Liga Veneta riuscì a far eleggere in un collegio confinante (Vittorio Veneto-Montebelluna) il primo senatore in assoluto nella storia dell’odierna Lega.
Nel 1987 il giurista siciliano fu ricandidato e rieletto per la Dc a Cittadella, ma con un nuovo deflusso di voti. Nel 1992 — ultime elezioni in cornice proporzionale — fu nuovamente candidato un dirigente della Dc locale ma la spuntò a fatica (38%), mentre il candidato della Lega Lombarda (all’esordio nel collegio) fu secondo con il 15% e tre candidati concorrenti di forze autonomiste venete incamerarono un altro 8%. Nel 1994 il seggio senatoriale passò a un’esponente della neonata Forza Italia (44% all’esordio, con il supporto della Lega Lombarda). Dal 1996 quel seggio è saldamente nelle mani di politici della Lega Nord. Nel 2013 a Cittadella è stato eletto senatore lo stesso sindaco.
Tanto è avvenuto, voto dopo voto, in un’area del Paese confinante con il Trentino-Alto Adige. Qui, in provincia di Bolzano, 14 esponenti del Pd ieri hanno platealmente contestato l’imposizione delle candidature dei sottosegretari Maria Elena Boschi e Gianclaudio Bressa da parte del segretario nazionale Matteo Renzi. Un disagio che dieci giorni prima del voto qualcuno potrà leggere come una goffa pugnalata alle spalle: magari per conto di oppositori nazionali di Renzi come Enrico Franceschini o Andrea Orlando. Ma nei tempi abbreviati della politica del ventunesimo secolo, come accusare gli “scissionisti” del Pd altoatesino?
Il rischio di un’accettazione passiva e tacita di un’operazione ai limiti della linea rossa politica appare evidente e troppo alto. Tanto più che l’operazione è stata costruita e perfezionata fra i vertici nazionali del Pd e quelli del partito autonomista locale Svp: anzitutto con il rinnovo — senza gara — della concessione multimiliardaria per l’Autostrada del Brennero e i finanziamenti straordinari per l’avvio dello scavo del tunnel del Brennero. Mentre il Pd denuncia il rilancio del Ponte sullo Stretto da parte di Silvio Berlusconi, Boschi e il ministro Delrio hanno canalizzato a Bolzano fondi pubblici supplementari a quelli abbondantissimi che la Provincia di Bolzano già riceve in nome dell’autonomia speciale.
E’ un “ridotto alpino” che sembra invincibile, l’Alto Adige, protetto da un accordo firmato nel lontano 1946 con l’Austria da un’Italia sconfitta. A Bolzano lo considerano una sorta di muro di Berlino: ma anche quel muro di lingua tedesca un giorno è crollato, improvvisamente. Restano le percentuali di voto etnico a favore della Svp nella propria “riserva indiana”: che però non sono superiori a quelle dell'”invincibile” Dc veneta alla fine degli anni 80. E poi la fine degli indiani d’America cominciò quando i capi-tribù iniziarono a vendere le riserve ad avventurieri e compagnie ferroviarie.