Dopo il comizio “religioso” di Salvini in Piazza Duomo a Milano, arrivano molte e tante critiche alla scelta “populista” del leader leghista: la più “clamorosa” giunge dall’arcivescovo di Milano, Mons. Mario Delpini che dopo il giuramento di Salvini sul Sacro Rosario e sul Vangelo cattolico ha voluto sottolineare il suo disappunto per la scelta: «Nei comizi si parli solo di politica». Qualche ora prima era stato Salvini che dalla piazza milanese affermava, finendo di essere nominato premier, «giuro di applicare davvero la Costituzione italiana, da molti ignorata, e giuro di farlo rispettando gli insegnamenti contenuti in questo sacro Vangelo». In piazza c’era il candidato Governatore Attilio Fontana ma mancava, e questo ha fatto molto rumore, l’attuale Presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni. Era atteso in piazza Duomo ma non si è visto: ormai lo strappo deciso e forte con la leadership di Salvini è chiaro e sotto gli occhi di tutti. Pronta una “fuga” in Forza Italia per il prossimo futuro?



CITA PASOLINI

Nel giorno dei cortei e delle manifestazioni il leader leghista Matteo Salvini si presenta in piazza Duomo a Milano da premier in pectore evitando toni da estremista. E infatti per prima cosa ha citato Pier Paolo Pasolini: «A chi fa il processo ai fantasmi del passato dico “Mi chiedo se questo antifascismo rabbioso sfogato nelle piazze a fascismo finito non sia in fondo arma di distrazione che la classe dominate usa su studenti e lavoratori per veicolare il dissenso”. Pier Paolo Pasolini 1973». Il segretario della Lega, dopo aver “giurato” fedeltà alla Repubblica, ha lanciato la sfida a Silvio Berlusconi e Forza Italia: «Il 4 marzo sarà premiata la forza e il coraggio della Lega che sarà la prima forza del centrodestra, ne sono sicuro». Dal palco di Milano ha garantito lealtà e coerenza: «Noi non tradiamo, mai e poi mai governeremo con altri che non siano la nostra squadra. Non l’abbiamo mai fatto in passato un governo minestrone». (agg. di Silvana Palazzo)



SALVINI GIURA SU VANGELO E COSTITUZIONE

Nel giorno in cui Salvini giura tenendo tra le mani una copia della Costituzione e un Vangelo, l’assenza che a Milano fa più rumore è quella di Roberto Maroni. A pochi giorni dalle elezioni il governatore della Regione Lombardia doveva esserci, aveva confermato la sua presenza in piazza, ma alla fine ha dato buca. Nuovo caso politico? Così non si direbbe dalle parole di Matteo Salvini, che di Maroni – come riporta Il Corriere della Sera – ha comunque tessuto le lodi:”Tutte le regioni dovrebbero avere un Luca Zaia e un grande lavoro è stato fatto da Roberto Maroni in questi cinque anni”, ha detto. Ma l’assenza di Maroni rende plastico il distacco tra la vecchia e la nuova Lega, tra linea nordista e quella nazionale. Non c’è nemmeno Umberto Bossi, pure candidato in Lombardia, che mai in altri tempi avrebbe potuto mancare ad un appuntamento così importante. Il segno che questa è un’altra Lega: Salvini è al comando, chi vuole si accoda. (agg. di Dario D’Angelo)



M5S, SCOPPIA LA “GRANA” TASSO

La salita al Colle di Luigi Di Maio è diventata un caso in vista delle Elezioni 2018. Il candidato premier del Movimento 5 Stelle non ha incontrato il capo dello Stato Sergio Mattarella, né ha portato con sé la lista dei ministri, ma è stato ricevuto dal segretario generale Ugo Zampetti. Così si voleva evitare qualunque polemica a ridosso del voto, invece sono emerse comunque. Stando a quanto riportato da Repubblica, Di Maio avrebbe informato il segretario generale del Quirinale dell’intenzione di “trasmettere al presidente della Repubblica la nostra squadra di governo”, che non è altro che la lista dei ministri nel caso in cui fossero il primo partito. Zampetti ha informato il capo dello Stato, che al momento del colloquio si trovava a Palazzo Barberini per la consegna dei premi Qualità Leonardo. L’incontro richiesto a soli dieci giorni dalle Elezioni è apparso comunque “irrituale” al Quirinale, perché non è consuetudine al Colle accordare udienze a qualcuno dei duellanti in campo, soprattutto se l’oggetto è la lista dei ministri. La Lega è già partita all’attacco: il senatore Paolo Arrigoni contesta a Mattarella di aver “disatteso il suo ruolo di terzietà soprattutto in fase prelettorale”. Intanto dopo il caso Caiata, che ha nascosto di essere indagato per riciclaggio dal 2016, un altro candidato M5s risulta avere una condanna in primo grado nascosta al movimento, e negata pubblicamente in un post su Facebook. Si tratta di Antonio Tasso, candidato nel collegio Manfredonia-Cerignola. La situazione giudiziaria è stata svelata dal rivale Michele Bordo, che aveva accusato Tasso di vendere cd falsi e playstation truccate. La sentenza di era conclusa con l’assoluzione perché il fatto non sussiste per aver venduto cd senza marchio Siae, ma era stato condannato per la “residua imputazione a mesi sei di reclusione e 2 mila euro di multa. Pena sospesa e non menzione”. Dopo l’appello e il processo, il caso è finito in prescrizione.

BERLUSCONI: CON SALVINI E MELONI INTESA SENZA SORPRESE

Se Luigi Di Maio è convinto di poter confermare il Movimento 5 Stelle come primo partito del Paese, non è da meno Silvio Berlusconi per quanto riguarda le possibilità che il centrodestra vinca le Elezioni 2018. Il leader di Forza Italia ritiene che la sua coalizione possa toccare il 45%, anzi lo considera “un obiettivo alla nostra portata e per raggiungerlo conto sul contributo dei nostri connazionali che vivono all’estero”. Berlusconi è fiducioso anche grazie ai sondaggi, che per il centrodestra “indicano la soglia del 40% a portata di mano, il che significa la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento”. Il Cavaliere, come riportato da Il Tempo, nella sua analisi si è soffermato anche sugli alleati, a partire da Matteo Salvini: “Ha uno stile comunicativo che ho definito pirotecnico, che ha fatto guadagnare parecchi voti alla Lega, e questo è un bene perché fa crescere la coalizione. Ma ci troviamo sempre d’accordo nelle scelte concrete”. Per quanto riguarda invece Giorgia Meloni: “Rappresenta con dignità una storia importante, ed è una persona di carattere forte e responsabile. Per questo io sono ogni giorno più certo che vinceremo le elezioni e che il centrodestra garantirà all’Italia cinque anni di buongoverno, di stabilità e di crescita”. Ma Berlusconi ha parlato anche della sua incandidabilità: “Confido di avere finalmente dall’Europa quella giustizia che mi è stata negata e vedere ripristinata la mia onorabilità che è stata lesa da una condanna assurda e dall’applicazione retroattiva di una legge, contro ogni principio del diritto”.

CAMPAGNA ELETTORALE, IL DIARIO: NUOVE VIOLENZE E NUOVI ATTACCHI POLITICI

È mai possibile che un diario di campagna elettorale verso le ormai prossime Elezioni 2018 debba occuparsi di fatto tutti i giorni di scontri, manifestazioni, attacchi infamanti e tanto altro “splendido” odg di cui avremmo fatto volentieri a meno? Siamo nel 2018 o nei bui anni ’70? È proprio vero, come dice qualcuno, che una volta “scomparse” le appartenenze culturali, religiose e politiche dalla vita pubblica di tutti i giorni, di conseguenza il clima ne risente e anche davanti ad un Paese in piena urgenza di interventi e riforme, la cronaca che siamo costretti a raccontare parte da aggressioni, manifestazioni tra “fascisti” e “antifascisti”, e finisce in assedi e lanci di bottiglie contro la polizia la quale, passano gli anni, ma è sempre in prima linea a prendere “botte e legnate” per poco più di mille euro al mese. La giornata di ieri ha visto Torino e Pisa brutte protagoniste di assedi da parte degli antagonisti di sinistra e centri sociali: nel primo caso contro comizio di CasaPound, nel secondo per un intervento di Matteo Salvini in centro città. Feriti e attacchi continui, nessuna vittima per fortuna ma un’ombra sempre più oscura sulla campagna elettorale che sta per spegnersi; sul fronte strettamente politico, ieri è stata una giornata non proprio esaltante per il Pd che oltre a rincorrere Centrodestra e M5s in vantaggio di consensi, deve guardarsi al suo interno dalla sfida forse più complessa.

La minoranza di Michele Emiliano lo ha attaccato pubblicamente, con il Governatore pugliese che ha tuonato: «e il Pd perderà le elezioni, tutto ciò che fino ad oggi in qualche modo è stato perdonato al segretario del Partito Democratico dovrà trovare una sintesi politica diversa. Per essere più chiari: non è che possiamo andare avanti così», e poi ancora, «Se il presidente Mattarella dovesse dare l’incarico a Di Maio, io farò ogni sforzo perché il Pd sostenga il M5s nella formazione del governo». Schiera di dem che si schierano ovviamente contro ma posizione di Renzi sempre più in bilico andando verso il voto del 4 marzo, con in più il possibile profilarsi di una nuova scissione e di possibili parlamentari che potrebbero clamorosamente unirsi al M5s, piuttosto che non dare vita ad un secondo Patto del Nazareno con Berlusconi. Tra violenze “sfasciste” e intrighi di partiti, qualcuno (forse tutti) si sono dimenticati di programmi e ricette per provare a far funzionare meglio questo Paese..