Che spettacolo vedere dalla Cina la campagna elettorale italiana. Nei giornali italiani si trova talvolta il paragone della crisi politica del Belpaese con quella ancora perdurante della Germania. Eppure la similitudine è superficiale e fuorviante. Cosa ci sia dietro e quale sia la posta delle due crisi è molto diverso. In Germania la crisi c’è perché si deve trovare una delicata alchimia per evitare che i pericolosi neonazisti di AfD rimangano da soli all’opposizione e possano così capitalizzare le spinte populiste e gli errori inevitabili del governo per crescere ancora. Inoltre si tratta di salvare il più possibile i socialdemocratici della Spd di Martin Schultz, i quali si sono sacrificati e si sacrificheranno ancora per garantire la stabilità di governo, anche a costo di perdite ulteriori di consenso.
La posta immediata è arrivare nel prossimo paio d’anni a una percentuale di deficit sul Pil del 60 per cento. In quel modo la Germania al centro, i suoi “gnomi” intorno e la Ue intorno ancora diventano una grande potenza industriale ed economica globale che oggi si sta allineando strettamente con l’America nella partita più grossa del momento e dei prossimi decenni: l’Asia e il ruolo della Cina.
Il progetto può piacere o meno, i costi per la Germania il resto della Ue e il mondo possono essere molto rilevanti. Ma di certo è un progetto alto in cui tutti i partiti (tranne la AfD) stanno mettendo a rischio il proprio interesse particolare (il particulare, direbbe Guicciardini) per l’interesse nazionale.
In Italia invece a dieci giorni dal voto, come ha sottolineato Federico Fubini sul Corriere, i programmi elettorali dei partiti si sono persi per strada. Tutti avevano dato (letteralmente) i numeri: promettendo tutto e il contrario di tutto, flat tax, redditi di cittadinanza, sgravi fiscali, regali ai bambini, pacchi di pasta, una scarpa adesso e un’altra dopo le elezioni.
Poi tutto è cambiato quando i numeri sono diventati non più credibili. Allora le promesse sono finite ed è ritornata la realtà che tutti vedevano: l’appartenenza al club, al clan o anche solo alla cordata di interessi.
Di Maio con i suoi M5s ha dichiarato di puntare al 30 per cento per potersi sedere al tavolo di governo (che fine ha fatto il vecchio sogno di scacciare la vecchia politica?). Berlusconi punta a superare il 40 per cento per governare da solo, e anche di prendere più voti della Lega per non essere ricattato. Il Pd punta a essere il predellino insostituibile in qualunque grande alleanza, e sponda di Berlusconi nel difficile condominio con la Lega. Gli altri, in ordine sparso, sperano nelle briciole.
Vista da lontano lo scontro sembra quello che si vede sulle serie Tv di Gomorra, bande che vogliono solo spartirsi i soldi, le zone dello spaccio, ma non hanno alcun interesse a quello che succede alla città, anzi: più la città degrada, più c’è spazio per i propri affari. Qui sta la differenza profonda con la Germania, dove invece i partiti pensano prima alla città, alla polis, e poi alla loro parte. L’esito delle serie tv è scritto: lo sfacelo del paese, la divisione per linee tribali, come è successo alla Libia dopo Gheddafi. Solo che l’Italia non può essere lasciata andare come la Libia, specie se ci sono questi piani in Europa e nel mondo.
L’Italia si fece per un astuto progetto geopolitico di Cavour. Il progetto durò fin quando Mussolini si volle infilare in un gioco molto più grande di lui. Dopo è stato Alcide De Gasperi (con l’appoggio di Togliatti e dei socialisti) a inventarsi uno spazio per l’Italia nella guerra fredda. Anche tra il XII e il XIII secolo gli stati italiani si inventarono un progetto geopolitico che allontanava da una parte l’imperatore di Costantinopoli e dall’altra quello tedesco. Questo spazio è durato fin quando da una parte le condizioni geopolitiche generali non sono profondamente mutate e dall’altra la litigiosità interna fra stati italiani non ha superato certi limiti. La caduta di Bisanzio nel 1453 e la ribellione dei principi tedeschi dietro Lutero nel 1517 cambiarono totalmente l’orizzonte. Nella Penisola la spinta particulare dei vari principati preferì l’intervento esterno (allora della Francia) a una soluzione interna, come avocata da Machiavelli.
Oggi, purtroppo, pare che la vera anima dell’Italia sia ancora Guicciardini, non Machiavelli. Se è così, anche stavolta la soluzione potrà essere solo esterna. Si tratterà soltanto di vedere come avverrà e quanto pegno pagheranno gli italiani per essere stati incapaci di governare se stessi e avere poi messo a repentaglio la vita di tutti.