“Nessuna promessa facile, solo proposte realizzabili. Sul lavoro servono più politiche attive, bisogna continuare sulla strada intrapresa con Jobs act e Industria 4.0 e il fenomeno dell’immigrazione va governato. La lotta alla povertà, invece, va fatta innanzitutto incrementando le opportunità di lavoro, mentre la prima emergenza da affrontare è quella educativa, dalla parità scolastica alle lauree brevi professionalizzanti, così si aiuta a tutelare il nostro patrimonio culturale”.



Maurizio Lupi (Noi con l’Italia-Udc) non si sottrae alle dieci domande del Sussidiario. Anzi, sui rapporti con l’Europa, rilancia: “La prima condizione per un ruolo europeo dell’Italia è la sua stabilità politica, la seconda è il consolidamento della ripresa economica”. E il rischio ingovernabilità? “Sarebbe una sconfitta della politica”. Ecco le sue risposte.



La rincorsa alle promesse facili riguarda tutti i partiti. A quanto ammontano gli impegni di spesa che il suo partito mette in campo e come pensa di coprirli?

Non facciamo promesse facili. Il nostro impegno è per proposte realizzabili. Per la riforma della legge Fornero abbiamo fatto aggiungere nel programma della coalizione le parole “in modo economicamente e socialmente sostenibile”. Le nostre proposte, flat tax al 27% per il ceto medio e fattore famiglia, richiedono una copertura di 16 miliardi di euro, alla quale aggiungere le solite salvaguardie per l’Iva. Si raggiungono i due punti di Pil, come tutte le ultime leggi di bilancio, non certo i 100 e passa miliardi di euro necessari per realizzare i libri dei sogni di altri partiti. Senza tener conto dei benefici e del gettito che alcune proposte genereranno, come è stato ad esempio per i bonus per le ristrutturazioni e i miglioramenti energetici delle case.



Ritiene che i provvedimenti che hanno avuto effetti positivi sull’economia reale vadano comunque mantenuti? Quali sono, secondo lei, gli effetti del Jobs Act e di Industria 4.0?

Jobs Act e riforma dell’articolo 18 sono stati approvati grazie al nostro contributo nel lavoro parlamentare contro quella parte del Pd che non lo voleva. Non si può ripartire sempre da zero, buttando via il positivo fatto dal governo precedente. Il Jobs Act ha avuto evidenti effetti positivi sui livelli di occupazione, eliminando alcune rigidità del mercato del lavoro e inserendo elementi di flessibilità che vanno incontro a chi solo crea lavoro, le imprese che hanno ripreso ad assumere. Occorre portare avanti la riforma del mercato del lavoro creando finalmente un sistema di politiche attive, perché chi non ha il lavoro o lo ha perso possa trovarlo, valorizzando in questo soggetti che portano risultati, siano essi pubblici, privati o non profit. Occorre, inoltre, rafforzare sussidiariamente il sistema della formazione professionale.

Per quanto riguarda Industria 4.0, ne abbiamo sempre condiviso sia il contenuto che il metodo. Quanto al contenuto, perché il fattore decisivo per la competitività e la produttività è l’innovazione; quanto al metodo, perché l’utilizzo della leva fiscale, anziché dei bandi, ha permesso velocità e di premiare gli investimenti già fatti. Se nel 2017 abbiamo fatto +1,5% di Pil, lo dobbiamo a questa politica. Resta da affrontare il problema della formazione delle persone che la digitalizzazione potrebbe estromettere dal mercato del lavoro.

Un tema rilevante riguarda l’Europa: ha senso dichiararsi sovranisti senza se e senza ma, oppure difensori altrettanto acritici di un assetto “guidato” da Germania e Francia? Come rimettere in primo piano gli interessi dell’Italia?

La prima condizione per un ruolo europeo dell’Italia è la sua stabilità politica. La seconda è il consolidamento della ripresa economica. La terza è la certezza delle regole per chi vuole investire da noi (la nostra giustizia civile e i nostri continui cambiamenti normativi scoraggiano molti imprenditori e investitori). La quarta è la fine del provincialismo italiano, per cui si usa l’Europa per le battaglie politiche interne. Chi ci rappresenta sulla scena internazionale è più credibile se ha un Paese solido dietro di sé e soprattutto se ha un Paese unito. C’è, infine, un investimento da fare in Europa anche a livello di personale amministrativo. Altri Paesi l’hanno fatto negli anni passati, è inutile lamentarsi dell’euroburocrazia se non si ha la volontà nè il potere di modificarla dal di dentro.

L’immigrazione: quali proposte credibili per una politica di controllo che possa mettere insieme accoglienza e interventi realmente efficaci contro i casi di delinquenza, a cominciare dall’occupazione sistematica dei treni dei pendolari al Nord?

L’immigrazione va regolata, su questo non ci possono essere dubbi, altrimenti si destabilizza una società, e una società destabilizzata non può accogliere nessuno; anzi, emargina sempre più chi viene da noi con una speranza di migliorare la sua vita. Il rimpatrio assistito dei clandestini e il blocco dell’emigrazione illegale richiedono cooperazione a livello internazionale, delle forze di polizia e dell’intelligence, e anche una collaborazione economica. La prevenzione di reati come quelli descritti avviene con il potenziamento del progetto “poliziotto di quartiere – strade sicure” e con nuove misure e sanzioni efficaci contro la micro-criminalità, l’accattonaggio e l’abusivismo commerciale nelle città. C’è un aspetto repressivo dei reati minori e quotidiani che è inevitabile, se si vuole aumentare il senso di sicurezza dei cittadini. Questo comporta una maggiore presenza delle forze dell’ordine in luoghi come le stazioni, ad esempio, e certezza della pena con snellimento dei processi per chi sia colto in flagrante.

Quali sono le ricette del suo partito per lavoro, crescita e lotta alla povertà, al di là dei sussidi a carico dello Stato previsti da tutte le forze politiche?

La lotta alla povertà si fa, innanzitutto, incrementando le opportunità di lavoro. Niente reddito di cittadinanza, se c’è una risorsa va usata per incentivare chi crea occupazione, cioè le imprese. In secondo luogo con un sistema di welfare sussidiario che premi e sostenga le realtà sociali realmente impegnate su questo fronte. Nella società ci sono esempi concreti di lotta alla povertà già attuata, penso al Banco Alimentare o alla realtà delle Suore di Carità dell’Assunzione nelle periferie delle principali metropoli, e altre ancora. Loro già fanno ciò di cui c’è bisogno. Bisogna sostenerli. Bisogna, infine, riqualificare le periferie. Noi avanziamo una proposta concreta: i negozi in periferia sono anche un presidio di socialità e di sicurezza, non possiamo permetterci che chiudano, quindi zero tasse per chi apre un negozio in periferia.

Sulle politiche del lavoro abbiamo proposte molto articolate, rivolte soprattutto alle piccole e medie imprese, che costituiscono la vera ossatura della nostra economia e nelle quali trova occupazione l’80% della forza lavoro. La prima proposta è una vera sburocratizzazione, ha costo zero ed è ciò che chiede ogni imprenditore. Quanto alle altre ne elenco alcune:

1. imprese più competitive grazie al sostegno al credito, alla riduzione della pressione fiscale e al potenziamento del fondo di garanzia delle Pmi; sviluppo di Industria 4.0;

2. concessione del credito d’imposta alle imprese, con l’obiettivo di favorire la competitività, l’internazionalizzazione, la digitalizzazione dei processi e l’innovazione. Misure premiali per le imprese che si collegano stabilmente con i centri di ricerca e si impegnano ad assumere capitale umano qualificato;

3. semplificazione e revisione di tutte le leggi su imprese, lavoro, ambiente e Pubblica amministrazione, differenziandole secondo i princìpi di proporzionalità, specificità, sostenibilità (anche economica), ed eliminazione di tutti gli oneri e i costi non richiesti dall’Unione europea;

4. realizzazione di un fondo sul modello francese per il sostegno delle start up tecnologiche e finanziamento del loro lancio sul mercato. Defiscalizzazione per 10 anni sia per le start up che per gli investitori;

5. nuova riforma delle Camere di commercio, partendo dagli obiettivi di sviluppo economico dei territori (banda ultra larga, internazionalizzazione, innovazione, semplificazione);

6. ripristino dei voucher, per consentire forme di lavoro accessorio;

7. creazione di un sistema assicurativo contro il rischio di disoccupazione, anche per imprenditori e partite Iva;

8. aumento dei salari di produttività e incentivi alla contrattazione decentrata.

Nessuno parla di sanità: ritiene che il servizio ai cittadini sia adeguato, che sia migliorabile a partire dalle liste d’attesa e che le differenze qualitative tra Nord e Sud possano essere ridotte o annullate?

Tutto è migliorabile, teniamo però presente che abbiamo un sistema sanitario universalistico tra i migliori al mondo, con punte di eccellenza assolute. Purtroppo sacche di inefficienza, soprattutto in alcune regioni, ed episodi di malasanità fanno inevitabilmente, e giustamente, notizia, gettando ombre su una situazione generale e un livello medio della cura che per molti Paesi è ancora un traguardo lontano. I servizi alla persona, a cominciare dalla sanità, sono efficienti quando mettono al centro la persona e la libertà di scelta, al Nord come al Sud. L’altra grande sfida che la sanità deve affrontare in tutta Italia è l’invecchiamento della popolazione e il conseguente aumento delle malattie cronico-degenerative. Questi fenomeni impongono un ripensamento complessivo del sistema sanitario anche in termini di innovazione e tecnologica e dei modelli di assistenza, anche ai fini della sostenibilità complessiva del sistema sanitario.

Quali proposte e soluzioni per gli anziani, visto che il nostro Paese sta invecchiando?

La prima cosa è non lasciarli soli. E non serve il ministero della Solitudine come vogliono fare in Gran Bretagna. Serve una rete di servizi che è tanto più efficace e tanto più vicina al bisogno delle persone anziane quanto è radicata sul territorio, nei paesi, nei quartieri. Qui la collaborazione pubblico-privato e una concreta sussidiarietà sono ineliminabili. Poi noi proponiamo un aumento sensibile delle detrazioni (500 euro oltre i 750 già esistenti) alla famiglia che si fa carico di uno dei due genitori anziani. C’è, infine, una cosa da fare, subito: togliere la proprietà della prima casa dal calcolo dell’Isee. Molti anziani, che magari hanno riscattato dopo trent’anni la casa popolare, si ritrovano per questo motivo esclusi dalla gratuità di alcuni servizi.

Valorizzare il patrimonio culturale italiano a favore dei giovani e dell’occupazione: cosa propone il suo partito?

Va detta innanzitutto una cosa, che noi abbiamo messo all’inizio del nostro programma come primo punto: il primo investimento deve essere in educazione e istruzione. Se c’è un Paese da ricucire, come dice il cardinal Bassetti, si deve ripartire dall’emergenza educativa: parità scolastica, autonomia delle scuole, merito per gli insegnanti, rafforzamento dell’alternanza scuola-lavoro, lauree brevi professionalizzanti. Questa è la prima valorizzazione del nostro patrimonio culturale. Poi, entrando nello specifico della domanda: bisogna dare sostegno ai musei e ai teatri di provincia e valorizzare i loro tesori d’arte attraverso una forte defiscalizzazione delle donazioni private. Bisogna potenziare le ambasciate e gli istituti di cultura italiana all’estero, come avamposti del nostro patrimonio culturale e della promozione turistica. Occorre individuare un budget per la promozione del turismo in Italia, ricavandolo dagli introiti dei visti turistici. Si devono facilitare le procedure e ridurre i costi per la concessione di opere d’arte ai fini dell’allestimento di mostre organizzate con il patrocinio degli istituti di cultura. Si potrebbe, infine, istituire la Biennale d’arte per i giovani artisti.

L’Italia ha sottoscritto nel 2015 l’Agenda 2030 dell’Onu e i 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile: come intende raggiungere questi obiettivi? Che misure intende adottare per il clima?

Anche su questo fronte si sono fatti passi avanti. Il bonus per l’efficientamento energetico, che ho voluto fortemente come ministro, è stata la più grande politica ambientale fatta negli ultimi anni. L’ambiente è una delle grandi sfide che tutto il mondo deve affrontare. Ed è una sfida che riguarda tutti: la società e le imprese. Dal punto di vista delle imprese, noi proponiamo di realizzare un grande programma sul modello di Industria 4.0 per l’economia circolare e un sistema “a rifiuti zero”. Occorre anche intervenire sui comportamenti delle persone e delle famiglie, a cominciare dai processi educativi. Uno degli obiettivi da perseguire è l’incentivazione della mobilità elettrica. Resta, poi, il grande argomento da affrontare: la valorizzazione e la salvaguardia dello straordinario patrimonio naturalistico del nostro Paese.

Nel caso di un risultato elettorale che non assicuri la governabilità, come pensate di muovervi? Quali alleanze si sente di escludere in ogni caso?

Prima dobbiamo fare il possibile per convincere i cittadini della nostra proposta. L’ingovernabilità è una sconfitta della politica, la certificazione della non credibilità dei partiti, come accaduto nel 2013. Dovesse succedere ancora, abbiamo davanti due strade: quella della Spagna, che è tornata al voto, salvo ritrovarsi nella stessa situazione; e quella della Germania, che dopo cinque mesi di trattative ha varato un governo Cdu-Spd come prima delle elezioni. Ma nessuno, in campagna elettorale, chiedeva a Rajoy o alla Merkel se erano pronti a fare il governo di larghe intese. Quindi ne riparleremo il 5 marzo.

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