Caro direttore,

come lei sa ho dato vita – con Raffaele Fitto, Flavio Tosi, Enrico Costa, Enrico Zanetti, Lorenzo Cesa e Saverio Romano – a una nuova formazione politica, che si è presentata in coalizione con il centrodestra alle elezioni politiche nazionali e alle elezioni della Regione Lombardia: Noi con l’Italia-Udc. Il nostro simbolo è riconoscibilissimo, ha al suo centro lo scudo crociato, ed è il simbolo del moderatismo italiano.



In Italia serve un partito di centro. Usciamo da anni di bipolarismo cattivo che invece di introdurre un sistema di alternanza ha alimentato la cultura dell’altro come il nemico da abbattere. In questo modo di fare politica per tifoserie sempre più urlanti si è inserito il polo dell’antipolitica, fondato sul rancore, che associa alla crescente capacità di invettiva una patente incapacità di governare, come i casi di Roma e Torino documentano.



Il centro sembra non avere spazio. Invece ce n’è bisogno come il pane. C’è bisogno della cultura del moderatismo, della responsabilità, del costruire, dell’equilibrio, della mediazione, della sussidiarietà, del rapporto con i corpi intermedi. C’è bisogno della cultura istituzionale di cui il centro si è sempre fatto carico, e con essa del linguaggio che la contraddistingue.

Noi vogliamo difendere questo modo di fare politica e questi valori. Il nostro non è il linguaggio di chi prima urla e poi riflette sui problemi. Per noi le istituzioni hanno una dignità che è costata cara a chi ha combattuto per costruirle, e va difesa. E va riconquistata, perché troppi hanno contribuito a distruggerla. Ma non è a forza di fake news, di proposte impraticabili, di idee farlocche come il reddito di cittadinanza, che la politica potrà recuperare credibilità presso i cittadini.



Io prendo molto sul serio il richiamo del presidente dei vescovi Italiani, il cardinale Gualtiero Bassetti: «Ricostruire la speranza, ricucire il Paese, pacificare la società». Per farlo occorre il coraggio e la responsabilità di ripartire dall’educazione, dalla scuola. La coscienza di un popolo, che vive da anni uno smarrimento per mancanza di riferimenti oggettivi, si ricostruisce mettendo come priorità l’educazione, l’istruzione, la formazione. Non è cosa che si faccia in una campagna elettorale, è un processo lungo, ma è un processo da rimettere in moto. La pace sociale, una politica fondata sul contributo di tutti e non sulla paura, è la condizione della costruzione di un rinnovato benessere.

C’è nel nostro Paese, nel suo tessuto vivo, una tradizione liberale e popolare, che ha nel moderatismo e nella capacità dell’incontro la sua modalità espressiva e operativa. È la cultura che ha fatto il boom italiano, che ci ha resi la settima potenza mondiale, che ha diffuso il benessere e costruito un sistema di welfare e un sistema sanitario universale che ci è invidiato da molti Paesi. È una parte viva e attiva del Paese, che non si lamenta, ma che stenta a trovare chi la rappresenti. E spesso si rifugia nell’astensionismo.

Abbiamo l’ambizione di riaprire il dialogo con questa Italia che vuole programmi realistici ancorati a ideali solidi, a identità che non entrano in confusione a ogni spiffero di nuovismo.

Non è più tempo di confrontarsi per schieramenti, ma per fatti e proposte concrete e realizzabili. Non servono partiti in cerca di posizionamento, ma partiti capaci di prendere posizione sui problemi della vita reale: lavoro ed economia, salute, giustizia, relazioni sociali, istruzione, lotta alla povertà, sicurezza e cooperazione fra i popoli.

Noi lavoriamo perché si affermi in Italia un vero liberalismo sociale, che coniughi la libertà di impresa, la competitività, la responsabilità sociale e la solidarietà.

E c’è un solo modo per realizzarlo: avere il coraggio di esprimere un giudizio di valore su ciò che funziona e su ciò che non funziona. Valorizzare e sostenere i primi, smettere con le erogazioni a pioggia sui secondi. Aiutiamo e sosteniamo chi veramente assume i giovani, chi veramente fa ricerca e innovazione, chi veramente fa formazione, chi veramente fa assistenza ai malati, chi lavora per il recupero degli studenti in difficoltà nello studio e non chi lucra sponsorizzazioni di assessori amici per spettacolini ideologici di quart’ordine… La solidarietà è un progetto di crescita, non un assistenzialismo infinito.

Noi vogliamo una sussidiarietà (orizzontale e verticale) effettivamente attuata, un federalismo che costruisca un rapporto equilibrato e responsabile fra Stato centrale e Regioni (e quindi un federalismo differenziato), un’economia più aperta e meno gravata dalla burocrazia e da una tassazione eccessiva che deprime la libera intrapresa invece di favorirla, un’amministrazione pubblica più efficace e meno autoreferenziale.

Paradossalmente non dobbiamo inventare quasi nulla: le esperienze positive a cui attingere e da trasformare in programma politico sono a nostra disposizione nella vita di tutti i giorni di milioni di famiglie, di imprenditori, di professionisti, di gente che fa con serietà il proprio lavoro, di associazioni di volontariato, del mondo non profit, di Comuni che funzionano, di regioni all’avanguardia in Europa come assistenza sanitaria, modelli di welfare pubblico/privato, mercato del lavoro e sistema educativo.

Scuola e libertà di educazione, sostegno alla famiglia attraverso lo strumento fiscale, impegno a favore delle imprese che creano lavoro e innovazione: sono questi i punti principali sui quali secondo me sarà utile confrontarsi in questa campagna elettorale, anche sul suo giornale, con i contributi di molti, senza pregiudizi ideologici o di parte.