I fatti di Macerata — l’omicidio efferato di Pamela Mastropietro di cui è accusato un pusher nigeriano irregolare e il raid dell’estremista Luca Traini, che ha ferito 6 persone — hanno inasprito lo scontro politico sull’immigrazione. Berlusconi è stato più radicale di Salvini, parlando di “bomba sociale pronta ad esplodere”; Renzi gli ha risposto che la bomba sociale l’ha creata lui con la guerra in Libia e che il trattato di Dublino è stato firmato dall’Italia nel 2003 quando al governo c’era il centrodestra. Per Gian Carlo Blangiardo, demografo, responsabile scientifico della Fondazione Ismu, chiunque andrà al governo dovrà farsi valere in sede europea per elaborare una strategia comune. 



Professor Blangiardo, siamo un paese razzista?

Siamo un paese con 6 milioni di stranieri su 60 milioni di abitanti, un paese che ha maturato questa presenza nell’arco di un decennio, quindi in maniera molto rapida. Non sono scoppiate rivoluzioni né estremismi di massa. Che poi ci siano individui che fanno cose che non dovrebbero fare, può sempre accadere e purtroppo talvolta accade.



Se dovesse guardare all’ultimo triennio, dall’incremento degli sbarchi fino alla sterzata Gentiloni-Minniti dell’estate scorsa (seguita all’incontro con il numero due della segreteria di Stato vaticana mons. Angelo Becciu) che cosa direbbe?

Abbiamo subito un periodo di massiccia immigrazione più di quanto non si sia mai verificato in passato. Dal 2014 al 2016 siamo stati in emergenza, abbiamo trascorso un triennio a cercare soluzioni tampone. Negli ultimi 4 anni sono arrivate circa 600mila persone, non si poteva continuare così ed è normale che il governo abbia in qualche modo cercato di correre ai ripari. Nel 2017 ci sono stati 120mila arrivi, il 34% in meno rispetto al 2016, ma il tema rimane delicato, si è sempre prestato al dibattito e allo scontro politico.



Ieri Berlusconi ha parlato di 600mila persone che non avrebbero il diritto di restare. Le risulta?

Cito gli ultimi dati della Fondazione Ismu che abbiamo elaborato. La nostra stima è di 491mila presenze irregolari in Italia al 1° gennaio 2017.

Chi è un irregolare?

Sono irregolari tutte quelle persone che si trovano sul territorio italiano senza avere un titolo di soggiorno valido. Potrebbe essere scaduto, come potrebbero non averlo mai avuto. Al 1° gennaio 2017 erano circa 50mila in più rispetto al 1° gennaio dell’anno precedente.

Come si spiega il loro aumento?

Dopo l’arrivo la situazione dei nuovi venuti si è diversificata: chi ha richiesto lo status di rifugiato o di protezione, chi lo ha ottenuto e chi no, chi non lo ha richiesto perché l’obiettivo non era di stare in Italia ma di raggiungere un altro paese europeo, chi invece di uscire è rimasto.

Dunque anche le decisioni degli altri paesi influisce sul numero dei nostri irregolari.

Certamente. Per la maggior parte dei migranti il progetto è di andarsene dall’Italia, ma se l’Austria, la Svizzera, la Francia o altri paesi rendono più difficile quello che una volta era più facile, chi usa l’Italia come paese di transito vi resta dentro. 

Quindi?

A mio modo di vedere, la prima componente che spiega l’aumento di irregolarità tra 2015 e 2016 (quello relativo al 1° gennaio 2017, ndr) è dato da chi non ha fatto richiesta di un titolo di soggiorno e non è uscito dal paese. Seguono coloro che avendo fatto domanda se la sono vista respingere, e questo vale nel 50% dei casi.

Con i 50mila irregolari in più, otteniamo le 491mila unità del 2017 rispetto all’anno precedente?

Sì. Non c’è una stima al 1° gennaio 2018, non l’abbiamo fatta.

Potremmo farla adesso, professore?

Un calcolo approssimativo ci fa dire che nel 2017 sono arrivate circa 120mila persone. Di queste non tutte hanno fatto domanda, anche se è probabile che la quota di coloro che hanno fatto domanda sia cresciuta. Potremmo parlare di 20mila persone presenti in Italia e rimaste ignote. Nel 2017 ci sono state circa 80mila domande esaminate delle quali noi sappiamo che metà vengono respinte. Siamo a 60mila irregolari, se li sommiamo ai 490mila già esistenti arriviamo a 550mila. Ripeto, è un dato grezzo, ma l’ordine di grandezza non è campato in aria.

Secondo Berlusconi “oggi in Italia si contano 650mila migranti di cui solo il 5% ha diritto a restare perché rifugiati. Gli altri rappresentano una bomba sociale pronta a esplodere, vivono di espedienti e di reati”. 

Non vedo chiarezza su alcuni punti. Chi vive di espedienti non è detto che coincida con l’irregolare di cui sopra, ci sono irregolari che sono tali perché non hanno avuto la fortuna di imbroccare la sanatoria giusta e che magari oggi hanno pure un lavoro in nero. Che sui 6 milioni di stranieri ci sia una componente del 10% con problemi di sopravvivenza, di  status giuridico, di casa e di lavoro non è così impensabile. Ma va detto che una forma di tolleranza c’è stata in tutti coloro che si sono alternati al governo. 

E quel 5% che avrebbe diritto a restare perché rifugiato?

Anche qui si fa confusione. E’ vero che quelli che fanno domanda da rifugiati e ottengono lo status sono circa il 5% e sono leggermente salita, ma ci sono anche quelli che ottengono la protezione umanitaria e sono regolarmente accettati anche se non sono formalmente rifugiati veri e propri. 

Da M5s a Forza Italia e Lega passando per il Pd, tutti i programmi dicono che il trattato di Dublino non va bene e va cambiato, per poi differenziarsi  nelle cose da fare, con coloriture più o meno utopiche. Dove passa il confine tra un programma realistico ed uno improponibile?

La mobilità internazionale è difficilmente eliminabile, anzi è utopia pensare di eliminarla, ma realismo esige che il fenomeno sia governato nella maniera più corretta e umana possibile. Questa operazione l’Italia non può farla da sola. Siamo un molo proteso nel Mediterraneo che favorisce il primo arrivo, è come se portassimo scritto “sbarcate qui”. 

Dunque la nostra situazione non è paragonabile a quella di nessun altro paese europeo.

Assolutamente no. Per questo deve riguardare tutti i paesi europei. Nel sogno del migrante non c’è l’Italia ma l’Europa, solo che il tragitto passa per l’Italia. Come italiani dobbiamo tenere conto di questa peculiarità, dobbiamo farla rispettare agli altri in sede europea e insieme agli altri governare il fenomeno.

Come?

Innanzitutto con una programmazione dei flussi, stabilendo per esempio delle file di mobilità, da concordare con le autorità dei paesi da cui i flussi provengono. 

E in Europa?

Dobbiamo essere protagonisti dell’iniziativa ed essere coerenti, indipendentemente dai nostri governi, con gli impegni assunti. Diversamente perdiamo credibilità e peso politico e a quel punto gli altri prendono decisioni al posto nostro.

(Federico Ferraù)