L’idea che circola nel palazzo è solo un’ipotesi di scuola, ma non è del tutto peregrina. Un partito antisistema, nato contro l’establishment, avversato e preso in giro fino al ridicolo, sbanca nel paese con uno slogan evocativo, quasi quotidiano, che d’un tratto dà voce ad un ceto trasversale e silenzioso che vede nella politica solo declino e inevitabile corruzione.
Quel partito si definisce con forza “movimento”, cura molto la comunicazione, quando si presenta in tv i suoi esponenti paiono marziani ed è difficile etichettarli semplicemente come di destra o di sinistra. Alla sua prima performance elettorale ha fatto boom, alla sua seconda si è attestato su percentuali da Democrazia cristiana e si prepara a diventare l’asso pigliatutto della politica con promesse semplici, efficaci, che intercettano i bisogni di tanti ancora shockati dal tracollo economico degli ultimi anni.
Adesso, se avete ben seguito il ragionamento, cambiate le date e capirete a quale salto stia davvero pensando la politica italiana. Nel 1994 quel partito era Forza Italia, nel 2018 il Movimento 5 Stelle. Venticinque anni dopo, il grande vecchio della politica ha ancora una volta fiutato il vento e ha capito, con una mossa quasi banale, come recuperare il centro della scena, liberarsi dello scomodo alleato leghista e tornare nella stanza dei bottoni da garante della democrazia di fronte all’Europa, come lo fu della destra di Gianfranco Fini e della Lega di Umberto Bossi. Senza dimenticare che, con una scelta del genere, Berlusconi avrebbe ampie garanzie per il futuro delle sue stesse aziende nel prossimo governo, cosa che dalle parti di Arcore vale più di mille inviti del Quirinale.
Il copione è dunque molto semplice: 1. Spingere centrodestra e 5 Stelle, in un’ottica di nuovo sistema, ad accordarsi per la presidenza delle camere tagliando fuori il Pd e accogliendo l’appello di Mattarella; 2. Salire al Quirinale con delegazioni separate dalla Lega e ottenere dal presidente un incarico esplorativo — e fallimentare — per Salvini, così da rispettare il mandato elettorale ma dimostrando l’inevitabile fallimento della formula forza-leghista. 3. Aprire la stagione della responsabilità con appelli per un governo stabile al paese. Appello più mediatico che di sostanza, visto che al Senato Forza Italia e 5 Stelle sono già una maggioranza, mentre più fluida è la situazione alla Camera, dove mancherebbero poco più di venti deputati, ma il richiamo del Governo — si sa — è irresistibile e Forza Italia è sempre stata esperta nel ruolo di Arca di Noè. Il partito berlusconiano accetterebbe tutti i punti del programma a 5 Stelle, chiedendo in cambio qualche misura simbolica da giustificare col suo elettorato, qualche ministro d’effetto, e una serie di non belligeranze per i gioielli aziendali dell’ex Cav. La manovra potrebbe anche essere il prodromo di un’intesa territoriale che farebbe del nuovo blocco politico una macchina da guerra da Nord a Sud.
Berlusconi e Di Maio sanno che tutto questo, per essere digerito, comporterebbe non pochi mal di pancia nei loro partiti, ma sanno anche che — alla lunga — tutto potrebbe apparire inevitabile ed innovativo. E forse è questo che spinge Di Maio a parlare di dialogo con “tutte le forze politiche, nessuna esclusa” e che porta l’attenzione della lettera di Berlusconi ai nuovi parlamentari sul tema della “lealtà” alle scelte della leadership.
Pare che gli sherpa siano già al lavoro e che dal Colle più alto si segua con attenzione la manovra, che potrebbe fare da apripista per la madre di tutte le intese: quella sul nome presidente della Repubblica targato 2022.
C’è chi indica nell’elezione del presidente del Senato il vero spartiacque della legislatura: se, in nome di un futuribile incarico per Salvini, Forza Italia ottenesse il Senato per uno dei suoi, magari stimato anche dai 5 Stelle, vorrebbe dire che la lunga marcia di sganciamento dalla Lega sarebbe partita e che l’ipotesi di queste ore starebbe maturando: il 1994 e il 2018 sarebbero quindi ad un passo dall’abbracciarsi. Lasciando al Pd l’umiliazione di una nuova faida interna tra renziani e calendiani e gettando alla Lega un guanto di sfida non scontato e imprevedibile. Del resto è proprio con questi colpi di scena che, sotto Pasqua, ad Arcore sono soliti festeggiare la Resurrezione del Caro Leader.