Mattarella parla di senso di responsabilità e Berlusconi — che non attendeva altro — da patron del centrodestra (ovvero da leader de facto) risponde presente. E raccomanda (ai suoi perché intendano tutti) apertura ed attenzione anche verso chi era ritenuto, fino a qualche giorno fa, “il male assoluto”: un pericolo per la stabilità democratica del Paese da relegare, in ogni modo, all’opposizione.
Eppure dopo l’inatteso (ma forse non proprio casuale) “non” dialogo a distanza tutto appare meno nebuloso. E ciò che era ritenuto impossibile (e non solo improbabile) potrebbe invece materializzarsi prima di quanto si possa pensare.
Con lo spoglio delle schede e l’affermarsi di un inedito scenario politico, molte sono state le formule ipotizzate per la formazione di un nuovo esecutivo. Qualcuno ha parlato di governo M5s-Pd, altri di maggioranza centrodestra-Pd, altri ancora di intesa M5s-Lega per arrivare persino a scomodare i cosiddetti governi della “non sfiducia” con improbabili appoggi esterni, astensioni concordate o tattiche uscite d’aula. Alchimie elettorali destinate ufficialmente a rimanendo sul tavolo del dibattito politico-giornalistico, ma che, dopo la pragmatica presa di posizione del Cav, sembrano archeologia.
Ciò che si prospetta all’orizzonte è un governo M5s-centrodestra. Non un semplice governo Di Maio-Salvini. Bensì un governo Di Maio-Salvini-Berlusconi (ovvero, un esecutivo del 70 per cento) nel quale Berlusconi, da mister della coalizione, disporrà (leggi: tratterà) i posti per tutti. Salvini compreso!
Il banco di prova sarà ovviamente l’elezione dei presidenti delle camere. A quel punto si capirà chi potrebbe essere l’incaricato del Colle: Di Maio, Salvini oppure una personalità condivisa (anche da B.) coadiuvata dagli stessi capi di Lega e 5 Stelle nel ruolo di vice con delega, sempre che — come si ipotizza da più parti — non siano proprio gli stessi leader a presiedere i due rami del Parlamento.
Insomma la soluzione, data tanto per difficile, appare ormai a portata di mano. Una soluzione, fra l’altro, buona (se non ottima) per tutti: per Mattarella che, in quattro e quattr’otto, sbrigherebbe una partita in potenza assai complicata; per i “quasi” vincitori Salvini e Di Maio che pur dettando la linea non rischierebbero la faccia come premier in una situazione comunque potenzialmente difficile. Ma anche e soprattutto per Berlusconi che, oltre a farsi apprezzare per le doti di mediazione e di responsabilità (caratteristiche proprie dello statista) potrebbe, da un lato, condizionare le scelte dell’esecutivo ritagliando per FI ruoli pesanti pur di secondo piano e, dall’altro, lasciarsi ampio spazio di manovra politica. Persino quello di abbandonare la maggioranza in caso di mala parata, lasciando gli eventuali ministri azzurri al loro posto (o al loro destino) come accadde con il governo Letta e facendo ricadere sulle spalle di Salvini e Di Maio tutto il peso politico di un eventuale esecutivo “alla deriva”.
La prima pietra della XVIII legislatura è posta. Adesso sarà un gioco di nervi e di posizionamenti per piazzare ogni tessera al posto giusto. Servirà tempo, ma non più di tanto.