57mila voti. In un qualsiasi altro momento storico sarebbero bastati per essere eletti in un collegio uninominale. Ma non questa volta. E’ la riflessione che si si è fatta nelle ultime ore nell’entourage di Saverio Romano, deputato siciliano uscente e non riconfermato, vicepresidente di Noi con l’Italia e solo 4 mesi fa, quando ancora la rinata unità del centro non era stata realizzata, uno dei fautori della vittoria della coalizione dei centrodestra in Sicilia.



Saverio Romano ha perso la sfida nel collegio uninominale contro Giuseppe Chiazzese (il pentastellato di voti ne ha racimolato 70mila). E col senno di poi diversamente non sarebbe potuta andare, visto che il successo pentastellato in Sicilia si misura in un 28 a 0, in pratica una nuova versione dello storico 61 a 0 di Forza Italia risalente al 2001, ma in dimensioni diverse. E non tragga in inganno la cifra dei deputati e senatori eletti nell’uninominale, 28 appunto. E’ la legge che è diversa e in questo caso assegna solo un terzo degli eletti con un sistema maggioritario. Ma in termini percentuali il successo dei 5 Stelle è di proporzioni ancora maggiori rispetto a quello storico degli azzurri. 



Cosa è successo, dunque, in soli quattro mesi in Sicilia? Il centrodestra si è dissolto così come zucchero nel caffè? L’analisi del voto rivela che non è esattamente così che è andata e che la sconfitta di tutti a fronte della vittoria a 5 Stelle si deve in parte alla legge elettorale, ma in altra parte ad alcune peculiarità siciliane difficilmente replicabili altrove. 

In prima istanza bisogna guardare i numeri e in questo ci viene in soccorso l’istituto di ricerche Demopolis che ha analizzato il voto siciliano. Su 100 elettori che hanno votato oggi il Movimento 5 Stelle, 62 lo avevano già scelto nel 2013. Dunque una crescita, rispetto alle scorse politiche, del 38%. 14 su 100 avevano optato 5 anni fa per il Partito democratico di Bersani, dunque il 14% è un voto in fuga dal Pd. 9 avevano votato per il Pdl di Berlusconi; 8 su 100 sono elettori al primo voto o astenuti del 2013. 



Guardando, dunque, alla sconfitta del centrodestra, il 9% dei voti ottenuti dai 5 Stelle sono defluiti dal centrodestra. La differenza, invece, con le regionali è data da due fattori. In primo luogo la legge elettorale che  ha “spersonalizzato” il voto. Una sorta di autogol se lo scopo era quello di arginare i 5 Stelle. Se non si vota il candidato, il volto, la persona, i simboli tradizionali risultano sempre meno attrattivi di quelli nuovi. “Contrariamente a quanto accaduto alle recenti elezioni regionali nell’Isola – conferma l’analisi del direttore di Demopolis Pietro Vento – con il Rosatellum è stata bassa l’incidenza dei candidati locali sulle scelte di voto: alle politiche del 4 marzo l’84% dei cittadini ha scelto il partito. Appena il 16% si è lasciato influenzare dal candidato nel collegio uninominale. Determinante — conclude Vento — è stato anche il fatto che, alla vigilia del voto, la maggioranza assoluta di chi si è recato alle urne non avesse idea di chi fossero i candidati all’uninominale nel proprio seggio”.

Ma basta questo a spiegare la débâcle? Secondo gli analisti di partito e di coalizione certamente no. La spersonalizzazione elettorale dovuta alla legge in Sicilia ha causato un effetto indotto che è, però, da considerarsi responsabilità oggettiva dei candidati. Ciascuno ha pensato al proprio collegio ma ha fatto poca campagna elettorale. Pochi cartelloni e pubblicità, poche presenze sui media locali, pochi incontri con grandi e piccoli elettori, pochi passaggi sul territorio. Questo perché l’indicazione era quella di far votare il simbolo e non la persona, ma anche perché ciascuno ha guardato l’orticello suo senza pensare che nel collegio a fianco c’era un candidato di coalizione, magari non di partito, al quale la presenza avrebbe dato aiuto e conforto. Dentro la coalizione di centrodestra si punta il dito soprattutto sui deputati e sugli assessori regionali, ma anche contro il presidente Nello Musumeci eletto da poco. Nessuno avrebbe dato supporto, fatto campagna elettorale, attaccato gli avversari. Nessuno sarebbe sceso nelle piazze al fianco dei candidati. Forse per un senso delle istituzioni che, però, non esiste più se è vero, come è vero, che presidenti del Consiglio, ministri, presidenti di Camera e Senato la campagna elettorale l’hanno fatta e non solo nei loro collegi alla ricerca della rielezione.

Nella Sicilia occidentale, è l’unica segnalazione, in giro si sono intravisti i forzisti Schifani e Milazzo, nella città di Palermo si è intravisto Francesco Cascio, nel collegio della provincia Saverio Romano ma poi null’altro o davvero poco altro.

Insomma è mancata la campagna elettorale ed è mancato, nel centrodestra, il gioco di squadra, quell’arma che era stato l’elemento in più per il centrodestra a novembre alle regionali. Non è un caso se Musumeci, infatti, aveva raccolto circa il 2 per cento in meno rispetto alla sua coalizione. Un’arma in più visto che storicamente il centrosinistra il gioco di squadra non lo sa fare e mai lo ha fatto, dividendosi sempre al momento delle elezioni e stavolta fors’anche più di prima. 

Se il centrosinistra aveva deluso e si era spaccato e se il centrodestra non giocava tutto nella stessa squadra, dove potevano andare i voti se non verso i 5 Stelle? Questa la riflessione sulla sconfitta, alla quale solo dopo si possono aggiungere elementi attrattivi come può essere stato il reddito di cittadinanza, ma non certo in percentuale tale da giustificare la valanga di consensi. Anche se già oggi qualcuno denuncia, anche in Sicilia, richieste di informazioni ai Caf su come ottenere proprio il reddito promesso da Di Maio.

Manlio Viola è direttore di blogsicilia.it