“Penso che andremo al voto rapidamente perché la rivolta non è compiuta e se si arrestasse potrebbe rovesciarsi contro coloro che la rappresentano”, cioè M5s e Lega. A dirlo è Fausto Bertinotti, fondatore nel 1991 di Rifondazione comunista ed ex presidente della Camera. Le sue parole sembrano trovare conferma in alcune dichiarazioni di ieri. Di Maio ha accusato Padoan di “avvelenare i pozzi” della fiducia sull’Italia — per l’Ue Italia è elemento di incertezza, aveva detto il ministro dell’Economia — mentre Salvini, a Bruxelles, si è dichiarato pronto a sforare il tetto del 3 per cento nel rapporto deficit/Pil. “Vedo aumentare lo scontro tra la logica della resa dei conti e quella della responsabilità” osserva Bertinotti.



Partiamo dal voto.

La vittoria di M5s e Lega è la manifestazione di una rivolta lungamente covata, inespressa, impossibilitata a emergere per la mancanza di soggetti politici capaci di darle forma.

Fino al 4 marzo. E gli altri?

Il voto ha affossato gli ultimi residui di tradizione politica del paese, Forza Italia e Pd, per quanto essi stessi frutto di una lunga metamorfosi rispetto a quello che c’era prima.



Partito democratico e Forza Italia sono al capolinea?

Secondo me sì. Poi le burocrazie possono sopravvivere a tutto. Ma come costruzioni inerti.

Restano dunque Lega e M5s. Come le definirebbe?

Due realtà politiche concorrenti, formatesi sull’onda di una pressione politica antielitaria. Tutte e due affondano le radici del loro successo nell’attraversamento del guado che ha segnato il passaggio dal precedente sistema politico a quello in  cui ci troviamo, ancora non bene delineato.

Come vede il loro antielitarismo?

E’ ambiguo. Contiene un elemento importante: la critica a un potere ormai privo di legittimazione democratica. La mozione antielitaria di Lega ed M5s è fondata e positiva, il dubbio è che questa rivolta oscuri, invece che portare alla luce, la contesa sul vero problema di fondo: il modello di sviluppo. 



In altri termini, che cosa rischia di sfuggire?

La diseguaglianza, che è il cuore del problema ed è stata il grande assente della campagna elettorale. Oggi c’è un profluvio di numeri, ci dicono che il 5 per cento della popolazione italiana possiede il 30 per cento della ricchezza del paese e mille altri dati di questo tipo, ma questi dati vengono resi inerti; restano confinati alla sfera della comunicazione, non toccano quella della politica. Non era mai accaduto. Una volta le classi politiche cercavano di far vedere in ogni modo che avevano ridotto le diseguaglianze, oggi non più.

La politica è finita in una bolla?

Sto dicendo proprio questo. Quindi lo scontro con le élites è del tutto fondato, poiché le élites sono le principali responsabili della bolla, ma l’offensiva, giustificata, contro di esse finisce per essere l’alfa e l’omega del conflitto politico.

M5s e Lega, le due forze concorrenti, possono trovare una sintesi sotto il comandamento della governabilità?

No. Il blocco sociale del Sud è necessariamente portatore di una richiesta basata sull’avere, perché è povero e sconfitto. Quello del Nord chiede di essere protetto contro una minaccia: il rischio che la ricchezza prodotta sia redistribuita ad altri, il rischio che gli immigrati rappresentano per la sicurezza e il lavoro e così via. 

Gli elettori del Nord hanno votato anche contro i poteri ordoliberali europei.

Vero. Da un lato questi ceti vedono bene che le grandi forze del capitalismo finanziario globale, le stesse che legittimano le oligarchie europee, hanno prodotto un processo di spoliazione e diffuso la povertà. Dunque la critica a quest’oligarchia è condivisibile e ha un fondamento sociale riscontrabile, ma al tempo stesso mette in luce la natura ambigua dei due movimenti, perché invece di sfidare quell’oligarchia sulla base di una visione alternativa di società, di classe dirigente e di modello di sviluppo, fanno della dimensione local-nazionale una struttura protettiva. La pars destruens è condivisibile, la pars construens è inadeguata.

Dunque se un patto M5s-Lega non è possibile?

Penso che andremo al voto rapidamente, perché la rivolta non è compiuta e se si arrestasse potrebbe rovesciarsi contro coloro che la rappresentano. A questa condizione se ne aggiunge una seconda. Essendo concorrenti, ognuna delle due forze può pensare allo showdown definitivo: oggi abbiamo vinto entrambi, ma uno solo deve uscire vincitore. 

Come si evolverà la situazione nei prossimi giorni?

Io credo che nessuno dei due voglia fare il governo. La contraddizione tra gli interessi di cui sono portatori e la necessità di istituzionalizzarsi è troppo profonda.

Ma quale sarà la risposta dell’establishment a questa situazione?

Dal nostro presidente della Repubblica fino alle classi dirigenti reali, cioè quelle non politiche, l’Europa dispiegherà come mai prima d’ora tutte le ragioni della “stabilità”. Vedo aumentare lo scontro tra la logica della resa dei conti e quella della cosiddetta responsabilità.

Vuol dire che la partita non è decisa.

Non lo è perché il partito della stabilità è molto debole. Per forza, è stato lui a produrre le forze dell’instabilità! L’aver inseguito la stabilità anche con il forcipe, il rifiuto di andare alle elezioni quando sembravano necessarie, l’invenzione di un governo Monti, aver difeso a oltranza le dottrine del debito e del fiscal compact ha prodotto quello che vediamo. Come si concilia con il fiscal compact la piattaforma del candidato ministro del Lavoro di M5s, Pasquale Tridico?

Non si concilia proprio. Bertinotti, manca la sinistra.

E’ così purtroppo. E’ la prima volta che accade nella storia della Repubblica e le conseguenze sono enormi: la mancanza di un vero soggetto politico di sinistra colloca i bisogni sociali, le pulsioni, le speranze di una vasta parte di popolo fuori da una qualsiasi proiezione politica. Una sinistra politica vera attraverserebbe M5s e Lega svelando le loro contraddizioni. 

Da dove può venire una nuova sinistra?

Non da un’ennesima riedizione dei suoi vecchi confini politici, perché quel popolo si è decomposto. Può venire solo dall’esterno. Ma non parliamone ora, per favore. E’ un altro capitolo.

(Federico Ferraù)