“Venghino, signori, venghino”… il megafono dell’imbonitore di provincia fa nuovamente sentire la sua voce stridula ed amplificata, che dà inizio alla sarabanda di considerazioni del dopo voto. Ha perso il Pd. O meglio il Pd si è perso e, come cantava De André, “non sa tornare”. Non potrà cioè recuperare il terreno perduto perché appare ormai un progetto del passato.



E il primo a rendersene conto è proprio Matteo Renzi, che ha accusato il colpo ma ha deciso che ha perso non per colpa sua ma del partito, con un fare che più che mai ricorda Silvio Berlusconi. Meglio allora disfarsi del Pd e puntare col sostegno delle fondazioni che a lui fanno capo, e che durante questi anni di lotta e di governo si sono economicamente attrezzate, a creare un nuovo contenitore che rilanci il mito del Macron “de noantri”.



Renzi si conferma un imitatore: il Matteo del passato scimmiottava Tony (Blair). Quello attuale si atteggia ad Emmanuel (Macron). Con una differenza. E cioè che Renzi non intende rifare gli errori del passato, quando con spocchia respinge la disponibilità di Berlusconi. Oggi punta con rinnovata decisone all’elettorato di Forza Italia uscita ridimensionata dalle politiche. Ma vuole farlo in accordo con Berlusconi. Silvio ha bruciato in meno di quarantott’ore l’europeista Antonio Tajani ed ora vive nell’incubo di accordi Lega-5 Stelle. E si chiede: posso stavolta fidarmi di Renzi? In attesa di capirlo ha dato ordine alle aziende amiche di mostrarsi generose con le fondazioni renziane. Non si sa mai: e se all’inventore del centrodestra italiano venisse in mente di usare il “senatore semplice” di Rignano sull’Arno per rottamare quelli che reputa “peggiori dei comunisti”?



Se questa prospettiva non è solo chiacchiera da bar lo capiremo presto. La prossima settimana si eleggono i presidenti di Camera e Senato. Vedremo subito se Silvio Berlusconi è finalmente disposto a riconoscere un erede.