Quello che con molta comprensione i lettori vedranno scorrere come pensieri messi in riga non è all’altezza delle pregiate analisi e delle notazioni fatte da autorevoli opinion makers sul sussidiario. La mia scrittura è emotiva e non so, anche se lo presumo, se dettata dall’intelligenza del cuore. Una scrittura che risente di un senso d’incertezza e, al contempo, dell’istinto a reagire.
Perché i vincitori m’ispirano questo plurimo senso? Perché hanno vinto? No, secondo me, no. Ma perché sono nuovi, di quella novità che li rende noncuranti e incuranti, nel senso etimologico dei termini. In quanto tali non sanno coniugare il passato, tutto da archiviare (leggasi cestinare), con le opportunità di un presente per costruire un futuro che sia un futuro di continuità con i valori fondanti della Repubblica. E qui non si parla di destra, sinistra, centro. Il fatto che si siano utilizzati nuovi (nuovi?) appellativi come populisti o nazionalisti è per rigettare il timore che populismo e nazionalismo possano essere tanto di destra quanto di sinistra. Non vi è nessun giudizio al di là di quello storico del fatto che la storia non ripete mai se stessa.
Nel gioco degli specchi e delle icone la confusione travolge i paletti essenziali, altera i giudizi, perché chi non conosce la storia non decodifica il pericolo dei passi silenziosi nei tempi, quando i fasci nacquero da un socialista convinto e un paio di baffetti spuntarono come graffette a unire il nazionalismo con il socialismo.
Mi si perdoni il pessimismo, ma all’orizzonte quello che è ad portas a livello internazionale è poco rassicurante. Non mi dà rassicurazione ulteriore a quella di tenersi pronti a non abbandonare, a essere vigili, a educare (ed è la cosa più difficile) i giovani sui valori, sulla natura dei problemi, sulla scelta delle soluzioni. Cattivi maestri si aggirano ancora, e sempre, divisivi e ignoranti, incapaci essi stessi di darsi ragione dell’evoluzione della storia. I problemi non sono di destra e di sinistra. I problemi sono tali per se stessi ed esigono soluzioni adeguate alla loro risoluzione. Le soluzioni hanno, come nei bugiardini medici, le controindicazioni. Come e perché e con chi costruire le soluzioni è il nodo della nuova politica, pur senza obliare un passato, la propria storia, le proprie radici e origini. E poi il confronto. In giro, di contro, parolai, verbalismi estesi ed estremi, pappe rifatte, con componenti ammuffiti e cuochi incapaci e incompetenti.
Queste elezioni sono state — come indica Giulio Sapelli — quasi… “epocali”, per il tipo di risultato che il voto ha generato. E’ un’Italia che ha votato d’istinto, con una larga parte che ha ritenuto lontani da sé i risultati già ottenuti, perché non toccavano e miglioravano il suo quotidiano. Un’Italia che ha usato la matita copiativa per esprimere un voto sulla sicurezza del suo futuro minacciata dall’immigrazione, sull’accesso alla pensione e al suo livello, sulla stabilità del suo lavoro e per l’estensione del reddito.
La raffigurazione grafica dei risultati geografici è esemplare. La codifica politica, sempre grafica, degli stessi risultati è impressiva, e al contempo desueta. I commenti e le analisi dell’intellighenzia da classe dirigente attuale, a partire da Scalfari per finire a quelli di gran parte della nostra classe politica, vincitori compresi, è deprivativa. Ciò che c’è di epocale è l’Italia al suo punto di arrivo e di ripartenza, alla quale non è possibile non guardare con frustrazione e preoccupazione per il futuro, quando il partito vincitore chiede aiuto per fare i compiti (ma senza pagare la colazione, altrimenti dov’è il senso di responsabilità?). Un’Italia che, in ogni caso, ha dato prova di maturità sull’astensionismo, mostrando di esserci con la sua partecipazione oltre il 70 per cento di votanti (Macron è stato eletto con meno del 30 per cento). E questo è un segno di maturità che non può e non deve essere disperso. Un’Italia che, tuttavia, ha difficoltà, non essendo giunta a un adeguato grado di maturità come “sistema Paese”, a orientarsi e scegliere nella confusione, come fare, con chi e di chi, piazza pulita, rinnovando invece il rito di simboliche espiazioni per 25 anni di passi perduti, salvo poi rivolgersi per virtù trasformista ai recuperi onde e donde serva.
Un caso a parte è quello, parossistico e virulento, della figura di Renzi, quando per quattro anni di passi ne sono stati compiuti e non tutti nella direzione sbagliata come si è gridato da più parti e sempre più forte. Quella che per me emerge è, come accennato sopra, la confusione. Basti pensare a Minniti, sconfitto nell’uninominale dal pentastellato evasore di partito.
E l’Italia è un Paese in confusione, perché arriva alle elezioni dopo anni di governi che potremmo definire in senso lato “del Presidente”, reclamandone la fine per poi generare un traguardo dal quale partire: un traguardo da dove tutti gli sguardi sono rivolti al Presidente. Ma non sono, gli sguardi e le aspettative, sull’iter classico, ordinario delle sue prerogative post elettorali, bensì — nel perimetro di queste — su quanto, alla pari del Bagatto dei Tarocchi, Mattarella riuscirà a fare. Passare da governi del Presidente, come sostanzialmente furono quelli di Napolitano, a una gestione presidenziale proattiva per un governo che abbia una maggioranza adeguata non solo per risolvere due cruciverba (legge elettorale e legge di bilancio in chiave di integrazione europea), ma soprattutto tenere il Paese sui binari della crescita, dell’equità sociale, del commitment europeo e internazionale.
Sul sussidiario, in occasione della Festa della Repubblica, fu pubblicata, dopo il vaglio di quattro costituzionalisti, una proposta per avviare una discussione atta a far nascere una legge elettorale adeguata a quanto il Paese doveva affrontare. Una legge per il Paese più che per i suoi partiti. Io, Antonio Briscese e Ugo de Luca con un atto di cortesia la consegnammo al Quirinale e a Palazzo Chigi, prima che, mesi dopo, si arrivasse al Rosatellum bis (definito il “Mattarellum inverso”) e prima che questo avesse una stesura tale da essere considerato il primo problema post-elettorale insieme a quello della nascita di un governo e di una maggioranza adeguata.
L’attuale legge, per i risultati che ha generato — peraltro in linea con lo spirito del tempo che soffia in questo Paese —, ipoteca nascita e durata di un nuovo governo e di una maggioranza dalle caratteristiche tali per durare.