Ieri, a partire dalle 14.30, sono iniziate le operazioni di registrazione dei senatori e oggi si replicherà la procedura anche a Montecitorio con i deputati. Sono i primi passi ufficiali della XVIII legislatura, che entrerà subito nel vivo venerdì 23 marzo, quando inizieranno le votazioni per l’elezione del presidente del Senato. Poi toccherà alla Camera, e solo dopo questo passaggio istituzionale potranno prendere il via le consultazioni del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, con le delegazioni dei partiti per trovare una maggioranza in grado di garantire la formazione del nuovo governo. Sui possibili scenari abbiamo intervistato Roberto D’Alimonte, professore ordinario di Sistema politico italiano presso la Luiss di Roma, esperto di sistemi elettorali ed editorialista de Il Sole 24 Ore.
La situazione è ancora molto fluida, siamo alle schermaglie iniziali, ma sembra si stia andando verso un accordo Lega-M5s. È così?
Mi pare proprio che sia così. M5s e Lega sono i due vincitori delle elezioni del 4 marzo.
C’è però chi dice che siano due vincitori con le armi spuntate, cioè hanno raccolto più voti (la Lega all’interno di una coalizione, il M5s come singolo partito), ma non abbiano i numeri per governare…
Da soli no, ma se si mettono insieme i numeri ci sono. Certo, se analizziamo il voto dal punto di vista della logica maggioritaria, come siamo stati abituati dai tempi del Mattarellum e del Porcellum, né Salvini né Di Maio hanno vinto. Oggi possiamo tutt’al più parlare di vincitori parziali, visto che non abbiamo un sistema elettorale maggioritario, di quelli che a me piace definire “decisivi”, cioè in grado di far decidere davvero agli elettori un vincitore chiaro.
Comunque se l’unità di intenti tra Di Maio e Salvini dovesse essere confermata durante le elezioni dei presidenti dei due rami del Parlamento, si dovrebbe andare verso una presidenza del Senato alla Lega e una presidenza della Camera al M5s, come proprio ieri ha rivendicato lo stesso Di Maio?
Una volta, ai tempi della Prima Repubblica, i presidenti delle Camere erano figure di garanzia. Basta ricordare i casi di Nilde Jotti o dello stesso Giorgio Napolitano quando il Pci era all’opposizione. Ma dal 1994 questa prassi istituzionale è stata accantonata e ora prevale l’idea che chi vince le elezioni si debba prendere tutto.
Un’intesa Lega-M5s potrebbe funzionare anche quando inizieranno le consultazioni al Colle per la formazione del nuovo Governo?
La bussola che guida il presidente della Repubblica è che si possa formare un governo con la più ampia maggioranza parlamentare possibile. Questo è ciò che sta a cuore al presidente Mattarella. Dunque, se Salvini si presenterà al Quirinale come “detentore” della maggioranza relativa della coalizione di centrodestra, il capo dello Stato potrebbe decidere di dare l’incarico a una personalità di questo schieramento, visto che è quello con la base parlamentare più consistente. Altro discorso se Salvini dovesse presentarsi solo in veste di leader della Lega, un partito che ha preso circa la metà dei consensi conquistati dai 5 Stelle. Dunque, la sola possibilità che ha il centrodestra di ricevere un eventuale incarico dal Colle è che si presenti e resti unito.
Torniamo all’elezione del presidente del Senato, le cui votazioni inizieranno venerdì 23. Il meccanismo dell’elezione è meno complicato di quello in vigore per la Camera: già alla quarta votazione, nel ballottaggio fra i due candidati che abbiano ottenuto nel terzo scrutinio il maggior numero di voti, basterà la maggioranza semplice…
Ricordiamoci che in queste votazioni vige il voto segreto. Centrodestra e M5s, qualora si muovessero in sintonia su un candidato, non avrebbero problemi ad eleggere il presidente del Senato. E se il centrodestra resta unito, potendo contare su 137 senatori, potrebbe aggiudicarsi da solo la partita anche alla quarta votazione, a patto che tutti gli altri partiti decidessero di astenersi. Una strategia che potrebbe fallire se, per esempio, M5s e Pd facessero invece un accordo sotto banco. E anche nel caso in cui la Lega, da sola con i suoi 58 senatori, scegliesse di allearsi con i pentastellati, che possono contare su 112 senatori, si raggiungerebbe la maggioranza necessaria per eleggere la seconda carica dello Stato. Ma, secondo me, è complicato per la Lega rompere l’accordo con Forza Italia, perché questa rottura indebolirebbe la pretesa dello stesso Salvini di presentarsi poi alle consultazioni al Colle come leader del centrodestra, cioè dello schieramento di maggioranza relativa.
Il Pd è uscito sconfitto dalle urne, ma ha pur sempre raccolto il 18 per cento dei voti ed è il secondo partito per numero di consensi. Potrebbe giocare un ruolo nella partita delle presidenze, ma in questo momento i dem sembrerebbero decisi a stare sull’Aventino. Conviene al Pd questa scelta?
Per rompere lo schema centrodestra-M5s, il Pd dovrebbe dare la propria disponibilità ad un qualche tipo di accordo sul governo con i 5 Stelle.
Le elezioni dei presidenti di Montecitorio e Palazzo Madama sono il preludio alla partita successiva, quella delle consultazioni per la formazione del nuovo governo?
No, a mio avviso, sono due partite che non si intrecciano tra loro. Sulle presidenze il M5s potrebbe anche fare un accordo con Berlusconi e Salvini, ma i pentastellati non accetterebbero mai di stare al governo con il leader di Forza Italia. Dunque, la partita sul nuovo governo si potrà giocare solo con la Lega. Ma torniamo alla domanda di prima: a Salvini conviene rompere con Berlusconi? Si tenga presente che presto si andrà al voto in Friuli Venezia Giulia e in Veneto, e più tardi in Liguria e in Piemonte…
Salvini ha però “minacciato” che assieme al M5s si può fare in pochi giorni una legge elettorale maggioritaria. E’ plausibile che la Lega possa lanciare una sorta di Opa ostile sugli elettori di Forza Italia?
Un Rosatellum con il premio di maggioranza è l’attuale idea di Salvini, ma su questo bisogna intendersi: Salvini vorrebbe il premio per la coalizione, ma sarebbe disposto ad accettarlo sulla lista, come invece vorrebbe Di Maio? Non credo proprio che assisteremo a un’Opa ostile della Lega, anche perché temi e toni di Salvini spesso sono troppo estremi per buona parte dell’elettorato moderato che è rimasto in Forza Italia.
E se si andasse a elezioni anticipate?
Su questo scenario le rispondo con un aneddoto, che chiamerei “la teoria dello stipendio”. Un autorevole esponente del centrodestra mi ha raccontato che se a giugno, quando deputati e senatori avranno già incassato i primi due stipendi da parlamentari – e ci vogliono due mensilità, perché la prima da sola non basterebbe a convincerli -, dovesse aleggiare lo spettro delle elezioni anticipate, potremmo assistere a numerose migrazioni verso il centrodestra, per dar vita a una sorta di “gruppo di responsabili” formato, appunto, da molti fuoriusciti del M5s e poi del Pd. Personalmente, è un’ipotesi che non mi convince, perché i numeri necessari, soprattutto alla Camera, per arrivare alla maggioranza assoluta con questi eventuali responsabili sono troppo elevati.
Un’ultima domanda: possibile che, a due settimane dal voto, siano ancora da assegnare una decina di seggi? Non si poteva intervenire prima, rendendo meno complicato l’iter del Rosatellum?
Questo è un aspetto molto problematico del Rosatellum, è un fatto che non dovrebbe mai accadere. E preferisco non aggiungere altro.
(Marco Biscella)