Oggi a Montecitorio erano solo baci e abbracci. Roberto Fico presidente della Camera che avvinghia Di Maio in una stretta fraterna e il capo politico del Movimento 5 Stelle che a sua volta, quando è chiaro che il candidato grillino ha superato la soglia di voti necessaria all’elezione, esulta come se l’Italia avesse appena vinto un Mondiale. Sarà l’euforia del momento, la consapevolezza di aver ottenuto forse il primo grande risultato da quando i grillini sono entrati nel Palazzo, ma oggi fa uno strano effetto vedere Fico e Di Maio a braccetto. Perché tra i due, diciamolo chiaramente, non è che ci sia mai stato questo gran feeling. Fico non a caso veniva spesso definito “il ribelle”. Ma rispetto a chi e a che cosa? Ovvio, rispetto a Di Maio e a quel processo di “normalizzazione” che il Movimento ha intrapreso negli ultimi mesi. Una ribellione diventata plastica a settembre, quando le primarie pentastellate stabiliscono che sia Di Maio il nuovo capo politico dei pentastellati. E in quell’occasione che il legame rischia di spezzarsi, i due si confrontano apertamente, con Fico che forte del riconoscimento di capo della cosiddetta “ala ortodossa” rifiuta di dover rinunciare alla collegialità, vuole un ritorno alle origini, al famoso “uno vale uno” che era stato fino a quel momento il simbolo della politica a 5 stelle. Così il giorno dell’incoronazione di Di Maio a Rimini rifiuta di salire sul palco, guastando un po’ la festa.
FICO L’ORTODOSSO
Anche dopo aver accettato l’esito delle primarie M5s che avevano assegnato a Di Maio la leadership, Roberto Fico fa dei distinguo. Come riportato da La Repubblica, il neo-presidente della Camera decide di tenersi un po’ di spazio di manovra:”Lui non è il capo del movimento. Il candidato premier è il capo della forza politica, ovvero è riferito alla legge elettorale, ma non è capo della vita politica generale del movimento. Questa è una grande distinzione“, dice a settembre. Ma adesso, almeno apparentemente, le frizioni dell’epoca sembrano superate. La mediazione di Beppe Grillo tra le due anime del Movimento è servita a smussare gli angoli e ora anche l’ala più “ortodossa” ha qualcosa per cui festeggiare il 32% delle elezioni. Alcuni retroscena, infatti, sostengono che la scelta di mandare Fico a Palazzo Madama sia il frutto di un disegno che vuole in un certo senso arginare o zittire del tutto il dissenso interno nel Movimento. Del resto tutto pare essere andato per il verso giusto: Fico inizialmente non era convinto di diventare Presidente della Camera con i soli voti della Lega. Per lui, storicamente di sinistra, l’idea di essere eletto coi voti di Salvini non era il massimo della vita. Tutto è cambiato quando si è giunti ad un accordo con tutto il centrodestra attraverso una gestione collegiale. Per Fico l’ortodosso meglio osservare la prassi.