In due ore è cambiato tutto. “La prima giornata della legislatura — spiega Luciano Ghelfi, quirinalista del Tg2 — potrebbe davvero passare alla storia come quella che ha segnato la fine del centrodestra”. Ecco i fatti salienti. Alle 18.14 arriva la dichiarazione che imprime la svolta: La Lega — dice Salvini — ha votato Anna Maria Bernini per la presidenza del Senato. 57 voti. I senatori azzurri sono attoniti: scelta non concordata, fanno sapere. Viene maliziosamente da pensare a un gioco delle parti tra Salvini e Berlusconi. E invece. Il leader della Lega dice di averlo avvisato, ma alle 20.34 Berlusconi parla di “atto ostile” e di progetto di governo M5s-Lega. La conferma sembra arrivare poco dopo da Di Maio: i 5 Stelle sono disponibili a votare Bernini o un profilo simile, twitta il capo di M5s. Alle 21.32 la Bernini, dopo un colloquio con Berlusconi, si sfila, dicendosi indisponibile a una candidatura contro il leader del suo partito. Ma Salvini va avanti. “Vista la disponibilità dei 5 Stelle a sostenere un candidato del centrodestra alla presidenza del Senato, noi ne appoggeremo uno dei 5 Stelle alla presidenza della Camera. Aspettiamo di conoscere nomi”. 



Anna Maria Bernini si è ritirata. Non faccio il candidato di altri contro la volontà di Berlusconi, ha detto.

La prima convulsa giornata della legislatura non poteva che finire così. Mi pare il segno che davvero quella di Salvini sia stata una fuga in avanti, non concordata né con Berlusconi, né con la diretta interessata. Resta agli atti però che Salvini con la sua mossa del cavallo aveva indicato un modo in cui uscire dall’impasse: un nome sempre di Forza Italia, ma differente da quello di Paolo Romani, su cui c’era sin da principio il veto — discutibile quanto si vuole — dei 5 Stelle.



Salvini, a detta sua, ha voluto evitare un abbraccio tra M5s e Pd. Ma il vero interrogativo per un paio d’ore è stato un altro.

Dalle prime reazioni è subito sembrato che Berlusconi fosse effettivamente all’oscuro della decisione di Salvini, e i colpi di scena che si sono susseguiti in serata, non solo l’indisponibilità della Bernini, ma anche il tweet di Di Maio che si diceva disponibile a votare lei o un profilo analogo, lo hanno confermato. 

Adesso cosa farà Berlusconi?

Il leader di Forza Italia deve rispondere. All’ultimo minuto potrebbe dare il via libera ad un altro dei suoi candidati, rientrando così in partita per la presidenza del Senato. Ufficialmente il nome rimane quello di Paolo Romani, ma nell’ombra c’è quello di Maria Elisabetta Alberti Casellati, parlamentare azzurra di lungo corso, che è stata anche apprezzata componente laica del Consiglio superiore della magistratura. 



La prima replica è stata durissima: così Salvini rompe la coalizione di centrodestra, ha detto a caldo Berlusconi.

L’ironia del passaggio che si è consumato è che Salvini ha proposto per il Senato un candidato forzista, ma contro il volere di Berlusconi. Sembra davvero un colpo duro all’idea stessa di coalizione. 

Ma Salvini terrà duro?

Salvini, sembra lanciato, e annuncia di esser pronto a votare un 5 Stelle alla Camera, cosa che fa sospettare un asse con Di Maio. Sino all’ultimo però esiste la possibilità di un mezzo passo indietro “per il bene della coalizione”. Questo però non potrebbe che avere una premessa: far presente in modo chiaro e tondo a Berlusconi che può ancora rovinare tutto. 

Perché?

Perché a quel punto, a rompere la coalizione sarebbe non più Salvini, ma Berlusconi: regalando a un esponente di rango del Pd, come Luigi Zanda, la presidenza del Senato. In linea teorica, lo spazio numerico per un’operazione simile esiste tuttora. 

Come è stato possibile che un leader con il fiuto di Berlusconi abbia voluto fare muro sul nome di Romani, portando la trattativa a un impasse e consentendo a Salvini di sparigliare le carte?

L’impasse non è nato sul nome di Romani, ma sulla volontà di Berlusconi di essere riconosciuto da tutti, cioè anche da M5s, come interlocutore politico. Fino a questo punto l’operazione gli era perfettamente riuscita: FI aveva messo tutti sotto pressione, Salvini, Di Maio e lo stesso Pd. Alla vicenda però mancava il cappello. E Salvini ne ha approfittato.

Mostrando che una soluzione, non nel suo immediato interesse ma in quello della coalizione, era possibile.

Esatto. Ma Berlusconi non se l’aspettava. E mentre parliamo sta ancora correndo ai ripari, valutando i pro e i contro, cercando di capire il da farsi.

In che modo un niet di Berlusconi potrebbe regalare il Senato al Pd?

In modo tutto sommato abbastanza lineare. Domani (oggi, ndr) i 5 Stelle alla terza votazione votano Zanda, mettendolo in partita; alla quarta votazione, che prevede il ballottaggio, il Pd si troverebbe nella scomoda posizione di dover non votare per il proprio capogruppo uscente. Una scheda bianca da parte dei senatori democratici sarebbe difficile da spiegare all’esterno. E non dimentichiamo che i voti di M5s e Pd sarebbero sufficienti a farlo passare.

In queste ore, mentre parliamo, Repubblica titola: “esploso il centrodestra”. Lei sembra meno drastico. Come stanno le cose?

La prima giornata della legislatura potrebbe davvero passare alla storia come quella che ha segnato la fine del centrodestra, ma non è ancora detta l’ultima parola. Berlusconi è stato preso in contropiede dalla mossa dell’alleato, a Palazzo Grazioli la parola più utilizzata è stata “tradimento”. Si delinea una prova di forza nella trattativa che andrà avanti sino a un minuto prima dell’inizio delle votazioni in Senato. Sul tappeto tanti fattori, dalle giunte di Lombardia, Veneto e Liguria alla candidatura di un leghista in Friuli Venezia Giulia, sino al nome da fare a Mattarella nelle consultazioni. I pontieri sono al lavoro per una ricucitura non facile, ma ancora possibile.

Volenti o no, si stanno facendo le prove per il “dopo”, per il governo. Secondo lei si va verso un accordo M5s-Lega? O verso un governo dell’astensione?

E’ davvero prematuro fare qualsiasi ipotesi, perché non è assolutamente detto, sulla base delle esperienze del passato, che le convergenze avvenute sulla presidenza delle Camere preludano alle maggioranze di governo. Qui ci sono tanti veti incrociati: quello di Forza Italia ai 5 Stelle, quello della Lega al Pd, quello del Pd a entrambi gli altri due poli. Da questo groviglio di no la convergenza fra Salvini e Di Maio esce come la meno improbabile, almeno secondo i dati che sono oggi sul tappeto. Ma ci sono moltissime questioni aperte, a partire da chi in un simile scenario possa essere il prossimo premier. Toccherà a Mattarella tentare di risolverle. 

(Federico Ferraù)