I pompieri gettano acqua sul fuoco ma stavolta sbagliano. Nel centrodestra tra Matteo Salvini e Silvio Berlusconi non è semplicemente capitato un incidente di percorso durato lo spazio di una notte e ricomposto al mattino con un cambio di nome. La prova di forza del segretario leghista ha segnato una rottura profonda, prima di tutto con il passato. Mai Silvio Berlusconi aveva trovato un alleato in grado di sfidarlo apertamente e metterlo all’angolo. Ci avevano provato Fini, Casini, Alfano, tutti finiti male perché non avevano i voti e gli attributi. Salvini ha entrambi. Per la prima volta nella sua carriera il Cavaliere ha dovuto ragionare, e comportarsi, da numero 2. Da ieri Forza Italia è ufficialmente al traino della Lega e Berlusconi è un Buffon: un fuoriclasse capace ancora di qualche prodezza ma ormai sul viale del tramonto.
Il voto del 4 marzo aveva sancito il sorpasso nei numeri, l’insediamento delle nuove Camere ha segnato il sorpasso della leadership. Il segretario della Lega ha preso in mano la coalizione, ha trattato con i 5 Stelle, ha chiuso l’accordo e ha messo gli alleati davanti al fatto compiuto: prendere o lasciare. Era sempre stato Berlusconi a condurre le danze nei 24 anni dalla discesa in campo. Gli avversari del centrosinistra avevano provato a farlo fuori puntando sui guai giudiziari e il bunga bunga, ma Berlusconi è risorto dalle proprie ceneri. Stavolta è lui quello con le spalle al muro. E con lui la vecchia guardia forzista impersonata da Gianni Letta. Il quale si diceva fosse tornato in auge dopo il mezzo flop di una campagna elettorale gestita da Niccolò Ghedini (e Licia Ronzulli) orientata più alla Lega che a strizzare l’occhio al Pd in vista di larghe intese. Invece l’asse con il Pd, o quel che ne resta, è crollato: l’accordo che prevale è quello con Salvini e l’avvocato padovano è riuscito a piazzare al Senato un’avvocatessa padovana.
Berlusconi ha dovuto piegarsi a fare buon viso a cattiva sorte, presentando l’elezione della Casellati come un successo suo. Davanti al bivio se forzare la mano e restare fuori dall’accordo o fare un passo indietro di compromesso, ha scelto la seconda strada. Mai farsi tagliare fuori: vecchia regola sempre valida (soprattutto per un imprenditore come lui) che probabilmente il Cavaliere seguirà anche quando si tratterà di formare il governo. Gli assenti hanno sempre torto, come ha dimostrato l’irrilevanza del Pd in tutta questa fase. Il vecchio Silvio ha conservato un suo potere di veto, ha ottenuto che i 5 Stelle cambiassero candidato alla Camera, che Fraccaro (fedelissimo di Di Maio) cedesse il posto a Fico (vecchia guardia grillina); ma, al di là del nome, Di Maio è riuscito comunque a piazzare un suo deputato sulla terza poltrona della Repubblica prendendosi i voti del Caimano senza trattare direttamente con lui. E ha confinato in un ruolo istituzionale, lontano dal movimento, uno dei leader dell’ala dura e pura.
Dietro il cambio di leadership, a cascata, nel centrodestra seguirà ora uno spostamento verso il vincitore. I tempi di questa salita azzurra sul carro leghista dipenderanno molto da come Salvini interpreterà il suo ruolo: più alleggerirà i toni estremisti, pur restando fedele al programma, più accorcerà i tempi verso il partito unico forzaleghista. E la prova di forza nel centrodestra rafforza le possibilità di Salvini verso un incarico di governo. Non è ancora detto che si vada a un accordo con i 5 Stelle, la partita è apertissima; tuttavia il leader leghista ha stretto un rapporto di fiducia personale con Di Maio ed è riuscito a tenere unita la coalizione. È dunque da qui, dalla coalizione, che Sergio Mattarella dovrebbe cominciare nell’aprire le consultazioni. Che potrebbero essere avviate già prima di Pasqua, visto che i neopresidenti si sono recati al Quirinale subito ieri pomeriggio e in serata Paolo Gentiloni ha rassegnato le dimissioni.