Continuano i tatticismi tra Salvini e Di Maio, in attesa delle consultazioni che cominceranno il 4 aprile. Stefano Folli, editorialista di Repubblica, non è ottimista e anche le combinazioni che potrebbero sembrare più praticabili — un governo centrodestra-M5s o Ms con parte del Pd più qualcun altro — per lui sono destinate ad esaurirsi senza produrre risultati. Mattarella lo sa bene, anzi secondo Folli il capo dello Stato attende “che i partiti consumino le loro contraddizioni”. A quel punto potrebbero essere le misure da prendere in materia economica a imporre la soluzione.
Folli, la situazione è in completo movimento. Lei vede almeno un punto fermo?
Il paese è in cerca di stabilità. Il ritorno immediato alle urne è un pericolo che, se possibile, sarebbe meglio evitare.
Secondo Salvini in questo momento c’è il 50 per cento di probabilità di ritornare a votare. E’ solo tattica?
No, è evidente che un’eventualità del genere deve essere presa in considerazione. M5s e Lega vogliono governare. Il problema è: con quale maggioranza? Non è detto che una maggioranza politica si riesca a trovare. Lo scenario potrebbe anche essere un altro.
Quale secondo lei?
Quello di un accordo parlamentare che dica sì ad una soluzione collaudata, come il governo del presidente. Però non possiamo ancora prevedere né come né quando: sappiamo per certo che Mattarella cercherà in prima istanza una maggioranza politica.
Salvini si è aggiudicato la partita delle camere a svantaggio di Berlusconi, che però rimane un interlocutore condizionante. Perché?
Da un lato Berlusconi ha sostanzialmente perso la leadership del centrodestra, che oggi, di fatto, è passata nelle mani di Salvini. Dall’altro lato Salvini, oltre a rivelarsi molto abile, sta mostrando anche una certa duttilità: non si lascia tentare dalla conquista immediata del centrodestra, che rimanendo articolato com’è oggi permette a Berlusconi di essere essenziale in qualsiasi possibile combinazione politica. Non si può fare a meno di lui.
Questo che cosa comporta?
Che l’idea di separare Salvini da Berlusconi non sta in piedi. Ovviamente non sta in piedi nemmeno la pretesa di Berlusconi di costringere Salvini ad accettare una situazione ormai innaturale, cioè una guida incontrastata della coalizione da parte di Forza Italia.
Dunque quando Di Maio dice: o noi al governo o niente, puntando a disfarsi di Berlusconi, questa non è una prospettiva realistica.
Salvini non ci starebbe. La mossa di Di Maio mi è parsa improvvida, perché in politica le scelte non si fanno mai sulla base di veti o di condizioni draconiane. E ho l’impressione che si sia messo in un cul-de-sac, perché stabilito che Salvini e Berlusconi non si separano, è chiaro che non ci sarà nessun governo centrodestra-M5s. A meno che Di Maio, oltre a guidare il governo, non rinunci alla condizione che lui stesso ha posto, cioè eliminare Berlusconi dalla scena. Tutte ipotesi dell’irrealtà, allo stato delle cose.
Allora siamo proprio in alto mare.
Vedo una crisi molto lunga, nella quale le soluzioni si potranno forse trovare strada facendo. Anche l’ipotesi fatta dai giornali stamane (ieri, ndr), che i 5 Stelle per liberarsi di Salvini e Berlusconi aprano al Pd, mi pare un’idea buona per discuterne, ma in concreto non c’è stato nulla e nemmeno c’è alle viste un negoziato politico.
Come mai il Partito democratico sta sull’Aventino?
Perché qualunque decisione prenda, si spacca. Avendo messo quella pregiudiziale — o io o niente — Di Maio è costretto a mantenerla anche nell’ipotesi di un tavolo con il Pd. E non mi pare proprio che il Pd sia nelle condizioni di accettare una leadership di Di Maio.
Che cosa potrebbe sbloccare la situazione?
Il presidente della Repubblica potrebbe favorire, non domani né dopodomani ma molto più avanti, un accordo fra le forze parlamentari, assai più ampio di M5s e Pd, non più sulla base di un patto politico ma del riconoscimento di una urgenza parlamentare, collegata alle misure che si devono prendere.
Una soluzione tanto più realistica e necessaria quanto più si sarà consumato il confronto politico.
Sì. Parliamo di un futuro non definibile, potrebbe trattarsi anche di un paio di mesi.
Non una maggioranza politica ma un accordo ampio, lei dice. Anche perché Mattarella nn intende operare forzature, non è il suo metodo.
Infatti. Mattarella intende lasciare che i partiti si confrontino, senza preclusioni, dialogando ma anche consumando le loro contraddizioni.
Bruxelles o Francoforte possono far pesare le loro pressioni sul Colle?
Il capo dello Stato è il garante del sistema e in quelle sedi lo sanno. Però è nell’ordine delle cose che il Quirinale tenga presenti gli obblighi che ci derivano dall’aver sottoscritto determinati accordi in sede europea. Nello stesso tempo, ciò non significa che il presidente della Repubblica si senta indotto a fare scelte che magari contraddicono il risultato elettorale.
Concretamente che cosa significa?
Che il risultato del 4 marzo è sul tavolo e il presidente è ben consapevole della necessità di non sottovalutarlo.
Un risultato sorprendente, bisogna dirlo.
Un esito completamente innovativo non solo per il nostro paese ma anche per il resto d’Europa, che non si è mai trovata di fronte ad uno scenario post-voto con oltre il 50 per cento del risultato a favore di partiti anti-establishment. Anti-establishment, non anti-sistema.
E adesso?
Questo risultato deve essere reso compatibile con il quadro delle nostre responsabilità anche sul piano europeo e internazionale.
Se va come lei dice, un governo del presidente non potrebbe non porsi il problema della legge elettorale.
Sì ma è prematuro parlarne, perché i partiti vogliono cose diverse.
Se ogni tentativo di fare un governo dovesse fallire?
Si tornerebbe al voto in una situazione precaria, senza contare che con questa legge ci troveremmo nella stessa situazione di ingovernabilità. A quel punto la benevolenza dei mercati finanziari e delle cancellerie europee finirebbe e le conseguenze potrebbero essere assai poco piacevoli per noi.
(Federico Ferraù)