Con la XVIII legislatura in rampa di lancio debutta tra gli scranni di Montecitorio e Palazzo Madama il Codice etico del Movimento 5 Stelle. Le parole d’ordine? Fedeltà al programma, trasparenza, serietà, partecipazione attiva, con annessi obblighi di rotazione periodica (ma i 3 mesi della passata legislatura sono stati allungati fino agli attuali 18), di finanziamento alla piattaforma Rousseau e di contribuzione all’attività del M5s.
“Ciascun componente del Gruppo – si legge nello Statuto del Senato – ha il dovere di adempiere alle proprie funzioni con disciplina e onore”. “Con specifico riferimento al Parlamento” il Codice pentastellato obbliga gli eletti a “contribuire personalmente all’attività del M5s con uno specifico onere di concorso economico, proporzionale alle indennità percepite”. E sempre ai parlamentari si impone di “votare la fiducia, ogniqualvolta ciò si renda necessario, ai governi presieduti da un presidente del Consiglio dei ministri espressione del M5s”.
“Nulla di più di quanto previsto dal Codice etico” ha voluto minimizzare, levigare, attutire il capogruppo grillino al Senato, Danilo Toninelli. Insomma, una bazzeccola, una quisquilia, una pinzillacchera… “Alla faccia del bicarbonato di sodio!” esclamerebbe invece la buonanima di Totò.
Ferree e inderogabili sono le regole, per evitare dissidenze e soprattutto abbandoni. L’ultima legislatura è stata la più “ballerina” della storia della Repubblica: in base a un’elaborazione condotta da OpenPolis, in 57 mesi si sono verificati addirittura 566 cambi di casacca. Quasi dieci al mese, un record, e tra i grillini ci sono stati 21 deputati e 18 senatori che hanno preso il volo verso altri lidi politici. Fughe che il Codice M5s vuole disincentivare, anzi, stoppare. Come? Multando ogni abbandono derivante da motivi di dissenso politico con una penale di 100mila euro, quale “indennizzo” per gli oneri sostenuti dal Movimento all’elezione del parlamentare.
Alt, riavvolgiamo il nastro e torniamo al 19 marzo 2018. Rileggiamo quanto pubblicato quel giorno dal Washington Post: “Ogni voto ci è costato circa 8 centesimi di euro – un costo coperto da micro-donazioni da circa 19mila cittadini che hanno donato un totale di circa 865mila euro, sostenendo tutti i costi della nostra campagna elettorale”. Parola di Davide Casaleggio.
Dunque, ricapitolando: la campagna elettorale è costata 865mila euro, un abbandono viene multato con 100mila euro, bastano 9 abbandoni – un quarto circa dei cambi di casacca registrati dai 5 Stelle nella XVII legislatura – e quegli oneri sono ripagati. Se, poi, le truppe pentastellate dovessero perdere altri pezzi sulla scacchiera, beh, ne beneficeranno almeno le casse del Movimento. O dell’Associazione Rousseau? O della Casaleggio Associati? O forse non sarebbe il caso che l’indennizzo ritornasse, magari ripartito pro quota, ai 19mila micro-benefattori del M5s?
La domanda perlomeno è lecita. Torniamo ancora all’articolo scritto per il WP da Casaleggio: “Il nostro slogan – “Partecipa, scegli, cambia” – è ciò che garantisce il nostro continuo successo in futuro. E la nostra speranza è che riusciremo a fornire un modello per rinnovare la democrazia ovunque restituendola ai cittadini”.
Ecco, allo slogan “Partecipa, scegli, cambia”, perché non aggiungere un quarto esortativo: “Restituisci” (ai cittadini)? Non solo la democrazia, beninteso, ma anche gli indennizzi. Così, per democrazia diretta…