In campagna elettorale Matteo Renzi diceva che il Pd sarebbe stato il più consistente gruppo politico nel nuovo Parlamento e che dunque nessun governo avrebbe potuto prescindere dai democratici. Il ritorno in campo di Silvio Berlusconi e le previsioni di vittoria del centrodestra avevano portato a concludere che sarebbe stato invece il Cavaliere a diventare il fulcro della nuova legislatura. Le urne hanno consegnato al Paese un terzo scenario: da oggi sono i 5 Stelle i veri perni per qualunque soluzione. I grillini hanno superato il 30 per cento, alcune proiezioni li danno addirittura sopra il 32.



È un terzo del nuovo Parlamento. E saranno loro a deciderne le sorti. Alessandro Di Battista ha detto a caldo: “Ora tutti dovranno venire da noi”. Non saranno loro a fare la prima mossa, ma sono consapevoli che non si potrà fare a meno di loro, perché è impensabile immaginare un’alleanza di governo che vada da Liberi e uguali a Fratelli d’Italia con l’unico intento di escludere i pentastellati. È vero che nella Prima Repubblica, alla quale il sistema elettorale proporzionale ci ha sostanzialmente riportato, il Pci non mise mai piede al governo con un pacchetto di voti analogo a quello dei grillini di oggi, ma dall’altra parte c’era una DC ancora più forte e un sistema di alleanze e partiti satelliti irripetibile.



Oggi quello che doveva essere il nuovo playmaker della situazione, l’allenatore fuori campo, il garante degli interessi e della stabilità chiesta dall’Europa, cioè Berlusconi, esce ridimensionato dalla Lega, diventata il primo partito della coalizione di centrodestra. Il vento della protesta anti-sistema è quello che prevale anche tra i cosiddetti moderati. Ma sul Cavaliere potrebbe essersi abbattuto anche un effetto boomerang. Non solo Forza Italia non sembra aver raggiunto neppure il 15 per cento, non solo non è la forza trainante della coalizione di centrodestra, ma il ritorno del vecchio leader potrebbe aver indotto molti elettori di sinistra a votare 5 Stelle, piuttosto che Pd o addirittura Liberi e uguali (che infatti appare sotto le aspettative), pur di tagliare la strada al Cavaliere redivivo. Insomma, Eugenio Scalfari non l’avrebbe azzeccata nemmeno stavolta: lui tra Berlusconi e Di Maio non avrebbe avuto dubbi a scegliere il primo mentre una grossa fetta della sinistra, con meno puzza al naso e senza snobismi, ha dato fiducia al secondo.



Con i 5 Stelle sopra il 30 per cento e la Lega sopra Forza Italia lo scenario politico è rivoluzionato. Vince la protesta contro il sistema, contro chiunque abbia governato, la rivolta contro le disuguaglianze sociali al Sud e la sensazione di insicurezza al Nord. Le larghe intese sono tramontate; vedremo se i grillini, con il loro nuovo profilo istituzionale, saranno disposti a scendere a patti con qualcuno.

Resta un’incognita legata all’effettiva distribuzione dei seggi. I collegi uninominali potrebbero fare segnare delle differenze rispetto alle proiezioni del voto proporzionale premiando le coalizioni, in particolare il centrodestra. E se mancassero poche decine di voti alla coalizione Salvini-Berlusconi-Meloni tutto potrebbe tornare in discussione.