Se i risultati del voto del 4 marzo hanno sancito la fine definitiva del bipolarismo, non hanno tuttavia previsto alcuni dettagli di questa trasformazione che, in realtà, cambiano l’intero quadro. Tra questi, quello certamente più rappresentativo è costituito dall’affermarsi di un momentaneo bipolarismo politico-territoriale che si dispone lungo le due macro-aree geografiche del Paese. Si tratta dell’affermazione del centrodestra al Nord ed in parte nel Centro Italia, mentre si assiste al simultaneo dilagare del Movimento 5 Stelle al Sud e al Centro-Sud. In entrambi i casi è sconfitta e messa ai margini quella sinistra storica che, dal secondo dopoguerra, aveva rivendicato e occupato il ruolo di anima critica della società liberale. Si tratta di una sconfitta pesante dalla quale non si salva né l’area moderata di questa stessa sinistra, insediata al governo, né ancor meno quella radicale che sperava, proprio nel suo dissociarsi dalla maggioranza, di poter cavalcare la protesta montante.



Il gruppo dei vincitori uscito dalle urne rappresenta tuttavia due universi politicamente e strutturalmente distinti e in sostanziale opposizione tra loro. Da un lato, nella coalizione di centrodestra convivono un forte radicamento territoriale (Lega), un’impegnativa esperienza di governo (Forza Italia) ed una formazione della destra parlamentare, reduce dal successo nelle recenti regionali siciliane (Fratelli d’Italia). Dall’altro il Movimento 5 Stelle, animato da una netta critica verso l’attuale sistema dei partiti e fautore di una democrazia diretta realizzabile grazie alle risorse della rete, si è promosso a rappresentante di un’alternativa radicale rispetto ai partiti presenti nell’intero arco parlamentare. Tra le due aree esiste quindi una differenza di sostanza, che dà vita non solo a due formazioni politiche diverse, ma anche a due modi diversi di essere formazione politica. 



E’ proprio grazie a questa diversità di sostanza che il M5s è arrivato a vincere a Sud, là dove una disconnessione di lungo periodo aveva prodotto, non più tardi di quattro mesi fa, il più alto grado di astensionismo: quella stessa Sicilia che oggi incorona il movimento di Beppe Grillo.

L’Italia che consacra il centrodestra di Salvini, Berlusconi e Meloni è quindi profondamente diversa da quella che incorona Luigi Di Maio. La prima esprime un’opposizione, la seconda dà voce ad un’irritazione profonda. La prima esprime la protesta di aree che, percependosi esposte e lasciate senza difesa dinanzi alla crisi, dissentono radicalmente dalla linea politica ed economica del governo. La seconda lascia emergere invece l’indignazione illimitata di una società che si percepisce come usata, barattata e lasciata sui marciapiedi di una stazione nella quale non passano più treni.



Che queste due diverse opposizioni finiscano per consolidarsi nelle due grandi macro-aree nelle quali si divide, in linea di massima, la geografia economica nazionale non ha quindi nulla di casuale, come ben intuito, in questo stesso quotidiano, dall’analisi di Eugenio Mazzarella

Eppure non c’è solo risentimento nel voto del Sud per i 5 Stelle. Centrodestra da un lato e M5s dall’altro non rappresentano solo due modi diversi di aggregare consensi e di essere partito, ma anche due diversi momenti di sviluppo di ogni formazione politica in quanto tale. Al contrario dei partiti di centrodestra, che costituiscono oramai realtà consolidate, M5s è ancora in costante trasformazione interna. Regole di comportamento, prassi di selezione dei dirigenti, scelta dei rappresentanti di governo, sono altrettante dimensioni in corso di formazione e di costante aggiornamento. In pratica è un laboratorio in costante attività di verifica e in perenne controllo dei propri principi come dei propri metodi. 

Ciò che costituisce il suo limite principale è tuttavia anche la ragione stessa del suo successo. Proprio perché è una realtà in corso di formazione, M5s può apparire sempre perennemente riformabile e costantemente migliorabile da parte di quanti vi aderiscono e lo sostengono. Non ci sono difficoltà amministrative, prese di posizione o scelte politiche, che non possano essere viste come emendabili. Non vi sono regole che non possano essere viste come riformabili. Ciò ha reso i 5 Stelle inossidabili alle crisi interne, rendendolo agli occhi di chi ne condivide la linea di critica radicale, come un’area nella quale i giochi sono ancora aperti, dove tutto si possa perfezionare e nulla sia mai così tragico da determinare la defezione e l’abbandono. Ciò che potrebbe apparire come un limite di opacità là dove si deve essere immediatamente operativi, appare invece come un’opportunità là dove non si può procedere che giocando il tutto per tutto. 

Ciò spiega come il Movimento fondato da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio non sia solo l’area del semplice risentimento, il luogo dove si scarica l’indignazione verso quella che viene percepita come una casta omogenea. In realtà il Movimento 5 Stelle è anche il luogo dove, a torto o a ragione, viene percepita la possibilità di trasformazione e quindi di miglioramento come una qualità permanente. Ed è proprio nelle aree depresse del Paese che una simile qualità viene vista come un’opportunità, una risorsa, purché si vinca e si espugni il Palazzo.