Umberto Bossi e Renato Schifani, vecchie conoscenze del Senato (chi l’ha usato per fa conoscere e conquistare le folle della Lega ad inizio anni Novanta, e chi lo ha guidato nel Governo Berlusconi 2008-2013) sono rientrati anche loro dalla porta del Proporzionale dopo i calcoli messi in atto dai tecnici del Viminale. Le Elezioni Politiche non sono ancora finite in quanto sono in corso ancora gli ultimi scrutini: a 36 ore dall’inizio del conteggio voti, mancano ancora 53 sezioni in netto ritardo (27 alla Camera e 16 uninominali tra cui 10 Camera e 6 Senato) mentre ancora in forte rilento il voto degli italiani all’estero, pure cominciato parallelamente agli altri la notte tra il 4 e il 5 marzo. I “ripescati” dal Proporzionale comunque non sono certo pochi, come potete vedere qui sotto, e tra le più importanti troviamo certamente Laura Boldrini, bocciata nettamente a Milano ma rientrata con i vari collegi plurinominali. «Torno alla Camera come deputata di Libere e Uguali. È vero, è una formazione politica che ha solo tre mesi, non potevamo aspettarci grandi risultati in così poco tempo. Ma se vogliamo pensare di costruire una forza progressista, inclusiva e innovativa, dovremo discutere a fondo sulle ragioni di quella che, indiscutibilmente, è stata una sconfitta. Lo faremo. Per ora voglio dire ancora grazie a chi non mi ha mai fatto mancare il proprio sostegno e la propria vicinanza. Sappiate che proprio da voi e con voi intendo ripartire», scrive la leader LeU su Facebook. Tra le conseguenze politiche della sconfitta Pd e delle dimissioni di Matteo Renzi, arrivano le prime dimissioni dalla Segreteria Dem: si tratta di Deborah Serracchiani, Presidente Friuli e bocciata anche lei all’uninominale. Lo ha annunciato questa mattina, appena scoperto di essere stata anche lei ripescata dal calcolo dell’uninominale. I dati in tempo reale sulle Elezioni Politiche 2018 e le Elezioni regionali in Lombardia e in Lazio – Eletti e seggi alla Camera e al Senato
SENATO, I “RIPESCATI”
Marco Minniti guida la “pattuglia” di ripescati alla Camera ma iniziano ad arrivare novità anche sugli eletti al Senato sempre col metodo proporzionale: quando ancora nel Lazio mancano circa 20 sezioni da scrutinare, con la quota proporzionale dovrebbero riuscire ad entrare dalla porta di servizio le ministre “bocciate” all’uninominale come Fedeli e Pinotti, ma anche il presidente del Senato Pietro Grasso, Umberto Bossi, Renato Schifani e Vasco Errani. Bocciati invece anche al proporzionale e quindi fuori dai giochi, Massimo D’Alema, Roberto Formigoni, Laura Puppato (LeU), Pier Paolo Baretta (Pd) e l’ex operaio della Thyssen Antonio Boccuzzi. Entrano col metodo proporzionale dopo gli scrutini e i calcoli delle elezioni politiche del 4 marzo anche Giulia Bongiorno, Vito Crimi, Adriano Galliani, Gianluigi Paragone, Niccolò Ghedini, Nicola Morra, Davide Faraone, Gianni Pittella, Anna Maria Bernini, Teresa Bellanova, Armando Siri, Matteo Richetti. Per i dati definitivi, bisognerà attendere i dati reali finali, ma intanto le pattuglie del prossimo parlamento iniziano a delinearsi.
CAMERA, BIG RIPESCATI AL PROPORZIONALE
La Camera, il calcolo dei seggi e i primi verdetti delle Elezioni 2018: qui sotto trovaste un sunto della complessa e lunghissima due giorni di voto & scrutinio conclusasi ieri, mentre ora proviamo a concentrarci sui numeri presenti a Montecitorio. Secondo il calcolo di Repubblica fatto sui dati del Viminale alla Camera (al Senato ancora non hanno chiuso i calcoli, sono molto complessi come si era intuito fin dalla formazione della legge elettorale Rosatellum). Senza ancora i dati della Valle d’Aosta, i seggi che si è riusciti ad assegnare col metodo proporzionale sono 607 sui 630 disponibili: ovviamente il partito a cui sono andati i numeri maggiori è ancora il M5s che guadagna altri 133 seggi, sommati agli 88 dell’Uninominale fanno 221 i nuovi parlamentari di Di Maio.
Segue il Pd che con il suo 18,7% alla Camera ottiene altri 86 seggi dal calcolo del proporzionale, con ripescati eccellenti che avevano perso le sfide secche nei collegi maggioritari: si trovano ad esempio i ministri Franceschini, Orlando, Martina e Minniti, ma anche il presidente dem Matteo Orfini e Lucia Annibali. Sul fronte LeU, entrano invece Bersani, Fratoianni, Speranza e Laura Boldrini, ripescata dopo aver perso e di tanto a Milano. «Nel centrodestra il 17,37% della Lega vale 73 posti, alcuni dei quali anche al Sud: uno in Calabria, uno in Basilicata, due ciascuno in Campania, Puglia e Sicilia. Forza italia, con il 14,01 si aggiudica 59 seggi, mentre 19 vanno a Fdi (4,35%). Sommandoli ai 109 seggi conquistati nell’uninominale, il centrodestra conta 260 deputati», riporta il calcolo di Repubblica. Si attende lo stesso calcolo ora al Senato e nel corso della giornata dovrebbero essere resi noti i nomi di tutti i “proporzionali” eletti.
I VERDETTI DEL 4 MARZO E I DUBBI SUL FUTURO
Il 4 marzo 2018 passerà alla storia per 4 punti focali e un dubbio grande tanto quanto l’Italia in queste Elezioni: gli elettori (che non hanno disertato le urne, anche se l’affluenza al 73% è la più bassa della storia Repubblicana alle Politiche) hanno per prima cosa deciso di affidare al Movimento 5 Stelle non la guida del Paese bensì la possibilità (e forse il diritto) di tentare una strada in Parlamento. Il 32,6% alla Camera e il 32,2% al Senato consegnano a Di Maio e Casaleggio l’onere di andare da Mattarella per le prossime consultazioni come primo partito in Italia. Secondo punto focale, la Lega di Salvini compie un vero exploit e si scopre a sorpresa il vero traino del Centrodestra: il leader del Carroccio rifiuta (per ora) qualsiasi ipotesi di inciucio con i grillini e punta dritto al voler governare con la coalizione che ha preso più voti di tutti (attorno al 37%-38%) ma senza avere la maggioranza richiesta per poterlo fare. Storico il suo successo (dal 4 al 17% in soli 5 anni) che rompe con il “solo” Nord e apre a qualche collegio anche nel centro-sud.
Terzo punto è il crollo inesorabile e critico del Partito Democratico di Matteo Renzi: anzi, proprio del segretario dem che da ieri pomeriggio ha consegnato dimissioni, convocando il Congresso Pd una volta insediato il nuovo Parlamento (che tenti ancora una via in extremis di rilanciarsi alla guida del Nazareno?). Un sconfitta cocente, sotto il 20% sia alla Camera e al Senato che consegna la “testa” del segretario alla base del partito, stufa di continue batoste dal Referendum del 4 dicembre in poi. Ultimo, forse passato più in sordina per i tre precedenti assai più roboanti, è la sconfitta netta e senza appelli di Silvio Berlusconi e del suo metodo vecchio, desueto e per nulla attrattivo per riconquistare gli elettori. Sotto il 15% e subalterno alla Lega, Berlusconi non sembra più in grado di guidare una rinascita del centrodestra moderato (del resto a 81 anni è difficile ripartire con nuovi progetti). Il 1994 è lontano e il Cav sembra troppo ancorato al suo passato d’orato (gli ultimi anni al Milan avrebbero dovuto metterlo in guardia, se non altro i suoi elettori ndr). Fine. Anzi, avevamo detto che vi era un punto in comune, un fil rouge: bene, semplicissimo. Nessuno ha la maggioranza. Il Paese non ha la maggioranza e Mattarella proprio su questo punto dovrà cercare di costruire la sua vera e difficilissima battaglia al Quirinale.