Sono stati in tutto poco più di un milione (degli oltre 4 milioni) i cittadini all’estero che hanno votato in occasioni delle ultime Elezioni 2018, con una percentuale di poco meno del 30%. Sono i dati riportati oggi da Il Sole 24 ore e che evidenziano come il Pd, i cui risultati in patria non sono stati affatto eccellenti, si conferma invece il primo partito tra gli italiani all’estero con il 26% alla Camera ed il 27% al Senato. I dem hanno vinto soprattutto nei grandi paesi dell’Europa come Germania, Francia e Regno Unito. Negli Usa di Trump così come nella Russia di Putin si conferma la vittoria del centrodestra, così come in Israele dove addirittura si registra una percentuale del 43%. Ed i 5 Stelle? Ebbene, pur non ottenendo alcun parlamentare all’estero, hanno avuto la meglio in Giappone, Spagna e Polonia. In questo contesto si inserisce però anche l’inchiesta avviata dalla procura di Roma al fine di verificare eventuali irregolarità nello svolgimento del voto degli italiani all’estero, soprattutto in Germania e Canada. In quest’ultimo caso, il fascicolo sarebbe stato aperto dopo una segnalazione alla sede diplomatica, mentre il caso della Germania fa riferimento nel dettaglio alla presunta compravendita di 3 mila voti a Colonia, come denunciato dalla trasmissione di Italia 1, Le Iene. (Aggiornamento di Emanuela Longo)
IL PD VINCE ALL’ESTERO
Sono giunti finalmente i risultati ufficiali dei seggi acquisiti dai voti degli italiani all’estero: dopo un lungo percorso per giungere in Italia, le schede da sempre più contestate in tutte le elezioni politiche sono state aperte nella notte stessa tra il 4 e il 5 marzo, ma il risultato finale arriva oggi. Poco male, visto che il dato generale definitivo non arriverà prima di sette giorni, come proviamo a spiegare brevemente qui sotto: ribaltando l’andazzo del voto nazionale, gli italiani residenti all’estero hanno premiato il Partito Democratico, benino il Centrodestra, malissimo il Movimento 5 Stelle. Dei 12 seggi in palio alla Camera, 5 vanno al Pd, 3 al centrodestra e uno rispettivamente a M5s, Maie, Usei e +Europa: per quanto riguarda invece i 6 seggi previsti per il Senato, il Pd e il Centrodestra ne prendono a testa 2, nessun seggio ai Cinque Stelle e uno ciascuno per Usei e Maie. In totale dunque, il Pd conquista 7 scranni in Parlamento, il Centrodestra 5 e il Movimento di Di Maio e Grillo solo 1, a Palazzo Montecitorio. Ecco i nomi, in attesa della conferma ufficiale da parte del Viminale: alla Camera troveremo i 5 del Pd Massimo Ungaro e Angela Schirò (Europa), Fausto Guilherme Longo (Sud America), Francesca La Marca (Pd) e Nicola Carè (Asia-Africa-Oceania).
IL DATO FINALE TRA SETTE GIORNI
Per il Centrodestra invece, sempre alla Camera, eletti Simone Billi (Europa), Luis Roberto di San Martino Lorenzato di Ivrea (Lega, Sud America), Fucsia Fitzgerald Nissoli (Forza Italia, Nord America); per il M5s eletta solo Elisa Siragusa in ripartizione Europa. Per il Senato invece, questi i verdetti riportati da Repubblica: «in Europa conquistano un seggio Laura Garavini del Pd (già deputata nella legislatura appena conclusa) e Raffaele Fantetti di Forza Italia. In America meridionale non passa Fabio Porta, presidente uscente del Comitato italiani nel Mondo della Camera, ma vengono eletti Ricardo Merlo del Maie e Adriano Cario dell’Usei. In America settentrionale e centrale eletta Francesca Alderisi di Forza Italia. Nella ripartizione Africa-Asia-Oceania-Antartide il seggio va a Francesco Giacobbe del Pd, riconfermato». Il voto finale però, con tutti gli eletti a Senato e Camera ufficiali, non potrà arrivare prima di sette giorni come spiega bene il Corriere della Sera: mancano infatti 10 seggi alla Camera con alcuni presidenti di seggio che hanno inviato al termine dello spoglio le schede elettorali con i verbali alla Corte d’Appello di Roma per problemi o eventuali ricorsi. In questo modo il Viminale, fino a che non li riavrà in mano, non potrà dare dato ufficiale finale: le liste che si trovano sul sito del Viminale, anche se momentanee, sono attendibili e «potranno cambiare soltanto nel caso in cui nel corso delle verifiche si dovessero riscontrare irregolarità riguardo ai requisiti di candidabilità del neodeputato», come scrive Fiorenza Sarzanini sul CorSera.