Non c’è dubbio che dopo tanta concitazione e dopo lo tsunami politico del 4 marzo, in Italia diventi quasi indispensabile, imprescindibile, una tregua. Al  momento le analisi sulle ragioni del terremoto elettorale sono millanta che tutta notte canta. Tutte contengono qualche cosa di vero e credibile, ma non c’è alcun dubbio che l’Italia, con un fardello sulle spalle di problemi irrisolti e forse di 25 anni contraddittori, se non sprecati, abbia bisogno di una pausa di riflessione maggiore di quella che stanno facendo altri Paesi, che pure sono toccati da una crisi della democrazia rappresentativa che si manifesta sempre di più.



E’ vero che la globalizzazione, per un certo periodo, ha reso possibile, anche per i suoi effetti trainanti dall’esterno, una “vacanza istituzionale” interna, per paesi come Belgio e Spagna ad esempio, dove si è andati avanti senza un governo per molto tempo, perfino giovandosene dal punto di vista della crescita. Non facciamo poi l’esempio della Germania, che medita i suoi governi con mesi di discussioni e stesure di programmi rigorosi, avendo però alle spalle uno Stato funzionante e un’economia solida.



L’Italia ha purtroppo tante anomalie storiche, sociali, economiche, amministrative e politiche che, in una ipotetica vacanza istituzionale interna per lungo tempo, rischierebbe alla fine una pericolosa instabilità, in un momento di politica internazionale delicato e complicato.

A questo punto, quella che un tempo era la definizione tipica della politica per gli italiani, “l’arte del possibile”, può trasformarsi proprio in questo momento di svolta epocale ne “l’arte dell’impossibile”. 

Si devono considerare alcune osservazioni fatte da diversi esperti: “Le tre sfide del XXI secolo – migrazione, tecnologia e denaro – indicano che la globalizzazione sarà oggetto di pressioni crescenti da parte di forze perturbatrici”. Secondo diversi e altri analisti, “Le narrazioni politiche avranno la meglio sulle narrazioni economiche. Lo spirito di Bretton Woods sarà sostituito dal sospetto reciproco. Gli accordi per la cooperazione tra Stati nazionali diventeranno sempre più rari”. 



Come potrebbe l’Italia reggere in un simile mare di incertezza geopolitica mondiale? Che cosa significano, in questi giorni, gli  applausi del governo Usa al risultato elettorale italiano e le diffidenze se non le apprensioni europee? 

La necessità di un minimo di stabilità e quindi di un governo operativo, anche per l’ordinaria amministrazione, diventa quindi indispensabile. E’ questa la grande preoccupazione che in molti osservano al Quirinale, l’ansia del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, di fronte a un quadro politico dove non esiste la possibilità concreta di una maggioranza affidabile e dove si vede una disgregazione di forze politiche tutte in competizione tra di loro e all’interno degli stessi partiti o coalizioni.

Basterebbe fare un elenco delle dichiarazioni del dopo-voto fatte da Luigi Di Maio per il Movimento 5 Stelle, che dettano condizioni nemmeno per un’alleanza impossibile, ma solo per un programma preciso di punti determinati, su cui gli altri dovrebbero convergere senza discussioni. 

Poi c’è l’altro vincitore, Matteo Salvini, il vincitore leghista e lepenista che non si smuove dall’alleanza di centrodestra, ma è perentorio nelle sue richieste fatte prima del voto sia sulla legge Fornero, sia sul fisco che sull’immigrazione.

Si può anche guardare all’evanescenza di Berlusconi (che doveva essere il nuovo uomo di fiducia per l’Europa) e infine si approda alla rabbiosa reazione di Matteo Renzi, il simbolo della sconfitta del Pd in Italia, e più in generale della sinistra, che si dimette “a data da destinarsi” e chiama in causa come corresponsabili della sconfitta personaggi di primo piano: da Mattarella al premier Paolo Gentiloni, a vari esponenti del suo partito fino a un giudizio severo sugli italiani. 

Nel Partito democratico, mentre si aspetta la tregua nella politica italiana, sembra quasi scoppiata una sorta di guerra civile, con Zanda, Emiliano, Cuperlo, forse Franceschini e lo stesso Gentiloni che non condividono la linea del segretario uscente ma sempre restante. 

E’ in questo problematico contesto internazionale e nazionale che Sergio Mattarella deve fare i conti per la stabilità italiana e quindi uscire da un impasse pericoloso. Per il momento, il presidente della Repubblica può contare per qualche settimana sul governo Gentiloni, in attesa che si insedino le Camere, si formino i gruppi parlamentari e si eleggano le cariche di Camera e Senato. L’elezione del presidente del Senato, che dovrebbe avvenire il 23 marzo, potrebbe forse essere il primo passo per un’apertura di consultazioni e magari di un mandato esplorativo.

Ma tutto questo presuppone una tregua, un abbassamento dei toni, una voglia di considerare la difficile realtà che si sta vivendo e la volontà di creare una prima possibile soluzione. 

Le ipotesi non sono facili, ma quella di un “governo di tregua” battezzato dal presidente Mattarella sta prendendo piede, a quanto ci è dato sapere.

Vediamo un attimo come potrebbe realizzarsi. Un “governo di tregua” (chiamiamolo in questo modo ma può avere altre dizioni) presuppone un tempo limitato di durata; due o tre punti fondamentali da risolvere, con la priorità di una riforma elettorale funzionale e in grado di assicurare una maggioranza (o almeno una collaborazione funzionale tra forze politiche); una personalità veramente al di sopra delle parti che diriga il governo stesso.

E’ vero che una proposta simile, in una situazione come quella che stiamo vivendo sembra fuori dal mondo. Sia il M5s sia la Lega di Salvini vogliono essere “pagati” per questa vittoria ottenuta dopo una legislatura scombinata e dopo due anni di governo Monti. Ma questa ipotesi, che al momento appare difficilissima, sembra senza dubbio più solida di tutte le alleanze partorite dai retroscenisti della politica che si stanno facendo in questi giorni. E anche meno traumatica di un immediato ritorno alle urne.

A ben guardare si può arrivare a una tregua per buon senso, ma anche per necessità. Poniamo che i mercati finanziari (sinora tranquilli) entrino in turbolenza, come può reagire l’Italia con il debito pubblico che si ritrova? Poniamo che gli “incidenti” o le “incomprensioni” monetarie e daziarie a livello internazionale si moltiplichino, come può barcamenarsi l’Italia? Poniamo che Francia e Germania riscrivano davvero le norme dell’Europa, come si comporterebbe l’Italia e con quale forza?

Non c’è dubbio che, nel quadro politico attuale, il “governo di tregua” è un sentiero strettissimo. Ma se qualcuno ne vede di più percorribili e migliori  li indichi adesso o al più presto possibile. Anche il tempo, in queste circostanze, diventa decisivo.