Un terremoto. Così sono stati definiti da molti i risultati delle ultime elezioni politiche. Effettivamente è un’immagine che ben descrive quanto accaduto: al di là dello scossone immediato (anche se in parte aspettato) dell’esito finale, come i più potenti terremoti, il voto del 4 marzo ha creato (anzi, fatto emergere) evidenti crepe e fratture nel nostro Paese.
La prima crepa impressionante che emerge guardando le mappe delle circoscrizioni dei collegi è quella che separa il Centro-Nord e il Centro-Sud. Una crepa che potremmo definire (solo apparentemente) “geografica”. Se non si sapesse di avere davanti mappe elettorali, si potrebbero tranquillamente scambiare per semplici cartine che rappresentano due nazioni differenti, una colorata di blu (con qualche macchia rossa) e l’altra di giallo, separate da un confine ben delineato. Il Paese è spaccato geograficamente? Certamente è un segno di discrepanza molto forte, ma sarebbe riduttivo chiudere e giustificare la questione con le note divergenze che caratterizzano queste due aree dell’Italia.
Andando ad analizzare i dati delle singole circoscrizioni, infatti, emerge un altro elemento che vale la pena guardare e che introduce una seconda crepa. Il Movimento 5 Stelle, oltre al “cappotto” messo a segno al Sud e in parte del Centro, ha raggiunto e spesso superato la soglia del 20 per cento anche nelle regioni del Centro e del Nord, a maggioranza di centrodestra o di centrosinistra. Allo stesso modo la Lega, che ha trainato la propria coalizione al Nord (Forza Italia è andata decisamente meglio al Sud che al Nord) è comunque andata oltre il 5 per cento in quasi tutte le circoscrizioni del Sud, toccando anche punte del 9-10 per cento (un dato non così irrilevante per un partito che fino a qualche mese fa aveva la parola “Nord” nel suo nome e simbolo).
Questi numeri, uniti al dato nazionale che quasi un cittadino su due ha votato per i due partiti cosiddetti “anti-sistema” o “estremisti”, sono il segno di una seconda più nascosta frattura, che dimostra come quella cosiddetta “geografica” nasconda in realtà una più profonda frattura “sociale”, che supera il confine tra Nord e Sud, permeando l’intero Paese.
Dal mio punto di vista, riconoscere che non siamo di fronte semplicemente a una divisione geografica, ma a una marcata eterogeneità sociale è decisivo, perché permette di capire che quello che le elezioni hanno così chiaramente portato a galla è un fenomeno con cui ciascuno di noi è chiamato a fare i conti tutti i giorni, con i compagni di scuola, di università, con i colleghi di lavoro, gli amici, in famiglia.
L’impatto con chi la pensa diversamente (spesso anche in modo netto) è un’esperienza di vita quotidiana ormai sempre più comune e radicale, che arriva a toccare anche i rapporti più stretti e le scelte di ogni giorno. Come stare di fronte a questa diversità è una decisione che spetta alla libertà di ciascuno. Ecco perché, prima ancora che la crepa sociale, ognuno deve fare i conti con una crepa che è innanzitutto “personale”, cioè propria della natura della nostra persona. È la crepa meno visibile, ma senza dubbio quella più decisiva, perché interpella la responsabilità di ciascuno.
È il primo punto da guardare per poter trovare una risposta anche alle prime due fratture, che altrimenti si potrebbero percepire distanti. Infatti, più i problemi sono scottanti e le sfide radicali, più cresce la tentazione di credere che la responsabilità sia solo di chi ha determinate cariche o occupa posizioni rilevanti. Si rischia così di etichettare il problema come un fenomeno sociale che riguarda altri, insinuando una pericolosa dicotomia tra singola persona e società.
Credo, invece, guardando la mia esperienza di questi anni, che sia proprio dentro (non fuori) questa crepa che si gioca la vera partita di ciascuno, quindi della società. Perché il problema, in fondo, non è che il Sud abbia votato in un modo e il Nord in un altro o che il 50 per cento dei voti sia andato a forza estremiste e l’altro 50 per cento ai moderati. La diversità, per fortuna, c’è e ci sarà sempre e sarebbe un errore demonizzarla. Piuttosto, la grande sfida è riscoprire, dentro la vita e gli incontri di tutti i giorni, in un contesto sempre più spinoso, cosa rende possibile un’esperienza di unità pur dentro una pluralità (come ci ha detto Papa Francesco durante la sua visita a Milano nel marzo 2017) e indicare questa esperienza come esempio per tutti.
Non è compito solo di Mattarella, dei partiti vincitori, del Governo o del Parlamento: è compito e responsabilità di ciascuno di noi. E’ una partita in cui siamo tutti titolari e nessuno può stare in panchina o sugli spalti, perché senza valorizzare il positivo di ciascuno sarà impossibile vincere la sfida.