Un commentatore acuto come Stefano Folli ha subito colto un accenno di calzabilità fra i post-voto in Italia e Germania. I risultati numerici del Pd renziano, ma anche i loro contorni politici sembrano in effetti fare un po’ il paio con quelli della Spd di Martin Schulz. L’affermazione della coalizione di centrodestra in Italia – ha correttamente avvertito Folli – mostra invece più di una differenza rispetto alla centralità faticosamente mantenuta da Angela Merkel, riconfermata giusto ieri cancelliere a Berlino. Anzitutto: la Cdu-Csu ha registrato una secco arretramento il 24 settembre. Non così il centrodestra italiano, che partendo dall’opposizione ha riportato un successo indubitabile, anche se non completo. L’analogia più curiosa è semmai che l’usura manifestata da Merkel è per certi versi simile a quella che ha relegato Silvio Berlusconi alle spalle della Lega Nord di Matteo Salvini.
Dopo un lungo allontanamento culminato negli avvenimenti dell’estate 2011, la cancelliera aveva ultimamente riagganciato il Cavaliere come leader moderato europeo nell’alveo Ppe in funzione anti-populista. La stessa ascesa di Antonio Tajani alla presidenza del Parlamento europeo era stata favorita da Berlino anche per consentirne la candidabilità a premier italiano, pur a capo di una coalizione allargata a Lega e Fdi. Ma Tajani, all’indomani del 4 marzo, non risulta più designato dalla forza politica leader nel centrodestra: e questo marca una differenza rispetto frau Angela, che resta espressione forte del primo partito al Bundestag, sebbene abbia dovuto far spazio a una nuova segretaria nel partito.
Il centrodestra semi-vincente in Italia, d’altra parte, ho solo in parte il dna politico della Cdu-Csu. Dopo un quarto di secolo, Berlusconi tarda a entrare nei panni del Ppe: un mix di tradizione cristiano-democratica e liberal-riformista. Meno che mai è omogenea a questa cultura la Lega, che ha anzi abbandonato la connotazione territoriale nordista, per alcuni aspetti “bavarese”. E in ogni caso Salvini è lontano dal possedere la salda affidabilità istituzionale ed europeista della Csu.
Ma anche il centro-sinistra del perdente Schulz non è ben sovrapponibile a quello del perdente Renzi: anche se il secondo ha certamente seguito le orme del primo quando ha preannunciato le proprie dimissioni e il passaggio all’opposizione. Nel giro di poche settimane, l’Spd di Schulz ha accettato di tornare a formare una grosse koalition a guida Merkel e l’ex presidente Pse a Starsburgo ha tentato un estremo guizzo: auto-designandosi ministro degli Esteri, costretto però subito a rinunciare dal suo stesso partito.
Il più interessante parallelo possibile fra Italia e Germania di inizio 2018 riguarda peraltro il ruolo del presidente della Repubblica. Quello tedesco, Frank-Walter Steinmeier, poteva contare su un minor profilo costituzionale di quello italiano, ma è stato perentorio nello sbloccare l’impasse creata dal naufragio della “coalizione Giamaica”, fra Cdu-Csu, Fdp e Verdi. è stato il capo dello Stato a riconvocare la Spd al tavolo con la Merkel con toni ultimativi. Da un lato Steinmeier ha preso atto senza troppe esitazioni dei nein del rampante leader liberale Christian Lindner; dall’altro ha fatto muro contro l’avanzata xenofoba di Afd (che però a settembre ha totalizzato il 12,6%, non il 32% di M5s).
Di certo, a Berlino, nelle grandi capitali o sui mercati nessuno ha mostrato eccessivo nervosismo per i cinque mesi abbondanti e complessi necessari alla Merkel per sciogliere il rebus-governo con Spd. Sembra più difficile che un simile vuoto sia gestibile in modo ordinato da Sergio Mattarella con personaggi inesperti come Luigi Di Maio, aggressivi come Salvini, spregiudicati come Renzi o carichi di anni e conflitti d’interessi come Berlusconi. Più facile che un pizzico di effetto-Germania arrivi a tonificare la svolta politica italiana per altra via: ad esempio con la chiamata a “premier del presidente” di Giuliano Amato, a lungo ascoltato consigliere della Deutsche Bank per l’Europa. Naturalmente in attesa del possibile ritorno da Francoforte del presidente della Bce, Mario Draghi.