Nell’esperienza repubblicana la delicata fase del conferimento dell’incarico ha consentito al Capo dello Stato di avvalersi di un ampio spettro di modalità di azione: dal mandato esplorativo al preincarico, dall’incarico vincolato all’incarico aperto, dagli incarichi plurimi agli incarichi con o senza riserva, e così via. Alla frequente instabilità delle condizioni politiche, poi, si è risposto anche mediante governi di attesa, balneari, a promesse di staffette, ricorrendo cioè a formule precarie o temporanee. Nella cosiddetta seconda repubblica, durante le crisi di governo la flessibilità dell’azione presidenziale si è certo ridotta, ma non è venuta meno, come è stato dimostrato, ad esempio, dal controverso “caso Bersani”.
Con il ripristino di un sistema elettorale prevalentemente proporzionale, e in assenza di correttivi sufficienti per consentire, nell’attuale condizione di frazionamento dell’assetto partitico, la costituzione di maggioranze parlamentari prevedibilmente certe e coese, dovremo allora riabituarci a schemi o esiti che consideravamo ormai abbandonati? Assisteremo ad un ritorno al passato? Si riproporranno quelle vicende tortuose che hanno segnato il pericolante avvio di numerosi esecutivi durante la cosiddetta prima repubblica? Si concretizzerà quella “nostalgie de l’impuissance” — richiamando il titolo di uno scritto di Maurice Duverger sulla Francia della fine degli anni Ottanta — che riporterà l’Italia nelle secche e nei meandri dell’instabilità politico-istituzionale?
In realtà molto è cambiato. La personalizzazione e la spettacolarizzazione della politica, così come la velocizzazione dei processi decisionali, impongono nuovi stili di comportamento. I partiti tradizionali, che rappresentavano ceti, forze e interessi sociali chiaramente distinguibili in coerenza con precisi orientamenti internazionali, sono scomparsi e sono stati sostituiti da forme — talora soltanto virtuali — di rappresentanza “immediata” e personalistica, bonne à tout faire, sia sul fronte interno che esterno. Poi, ogni scelta istituzionale interna, tanto più se relativa alla formazione del Governo, produce riflessi internazionali sempre più immediati ed amplificati. Il processo di integrazione europea, a sua volta, determina una sorta di “responsabilità europea” che non si può trascurare, tenuto conto della cruciale presenza di organi di governo europeo (a partire dal Consiglio europeo) di cui il presidente del Consiglio dimissionario fa sempre parte, e di cui quello anche soltanto nominato farà immediatamente parte.
Le mosse del Capo dello Stato sulla soluzione della crisi di governo, insomma, saranno capaci di determinare effetti prima sconosciuti. In una realtà che può essere attraversata da improvvisi e profondi mutamenti, indotti anche soltanto dall’incontrollata propagazione di notizie più o meno veritiere, i rituali della politica del passato potrebbero essere rapidamente travolti, se non fortemente contestati davanti alla pubblica opinione. Con effetti pericolosi per la stessa stabilità delle istituzioni, soprattutto quando, come nel nostro caso, l’esito delle elezioni non presenta soluzioni immediatamente percepibili.
Le scelte presidenziali, allora, non potranno non tenere conto del mutamento di tutti questi fattori di contesto. Un ruolo sempre più rilevante sarà assunto dalle motivazioni con le quali il Capo dello Stato spiegherà pubblicamente le proprie decisioni inerenti al procedimento di nomina, a partire dalla delicata fase del conferimento dell’incarico. Quanto più saranno chiare e comprensibili le motivazioni sulle soluzioni adottate, tanto più le stesse forze politiche saranno indotte ad evitare atteggiamenti ostruzionistici ed opportunistici, o comunque dannosi per il proficuo e positivo avviarsi della risoluzione della crisi.
Sarà poi cruciale l’attenzione dedicata alla tempistica. Eccessive lentezze potrebbero rendere il Capo dello Stato compartecipe — e dunque corresponsabile anche sul piano internazionale ed europeo — dell’inconcludenza e dell’irresolutezza dei partiti. Al contrario, immotivate accelerazioni potrebbero esporre il presidente all’assunzione di una sua propria responsabilità, ovviamente “diffusa”, stavolta soprattutto innanzi all’opinione pubblica e alle forze politiche che intendessero farsene portavoce in senso critico.
Se, in definitiva, al presidente spetterà un delicato compito di equilibrio costituzionale, due fattori giocheranno a suo favore: la duttilità intrinseca della nostra forma di governo parlamentare, e la sempre più consolidata emersione del Capo dello Stato come perno centrale all’interno di un quadro politico ed istituzionale particolarmente indebolitosi, se non addirittura frantumato. Un “motore di riserva” sempre più indispensabile per la nostra Repubblica.