La notizia ha fatto rumore e ancora se ne parlerà. Ad averla tirata fuori è stato il Foglio e il Corriere della Sera l’ha rilanciata: i 5Stelle punterebbero a fare squadra in Europa con il gruppo parlamentare che il presidente francese Macron vorrebbe fosse ispirato al suo partito En Marche. Questa aspirazione sarebbe legata alla natura assolutamente liquida del movimento grillino che si adatterebbe a prendere la forma del contenitore di volta in volta individuato come oggetto del desiderio. Una vocazione, quella del partito liquido, coerente con i tempi che corrono.



Si spiegherebbe così anche la grande varietà di posizioni assunte all’interno dell’organizzazione da interpreti diversi e scientificamente guidati – questa la teoria – da un diabolico Casaleggio (padre o figlio non importa) capace di occupare con prodotti su misura tutti gli spazi politicamente rilevanti. Ecco allora la costruzione dell’istituzionale Luigi Di Maio nell’impeccabile completo giacca e cravatta intento a rassicurare i poteri cosiddetti forti per fare il premier e la distinzione del rivoluzionario Alessandro Di Battista che rinuncia al seggio per una vita libera e indipendente. Nel mezzo il puro e duro Roberto Fico, forse il più autentico della compagnia e il più vicino agli ideali di partenza, che conquista lo scranno maggiore della Camera con l’accortezza di raggiungerlo in autobus come un cittadino qualunque quale certamente ancora si sente (vedremo in futuro).



Tutto questo, sempre secondo la maliziosa visione dei fatti, come espressione di un esperimento raffinato di marketing tendente a verificare nei fatti quale atteggiamento possa suscitare maggiore consenso e quindi assicurare un successo elettorale il più convincente e duraturo possibile. Una cosa, infatti, è prendere voti sulla base di un programma a forti tinte demagogiche facendo leva sul bisogno e promettendo ciò che non si può mantenere; un’altra è restare al potere dimostrando di non essere un fenomeno passeggero, ma una realtà consolidata e duratura.

Intanto, i motivi che hanno condannato all’irrilevanza politica i soggetti riformisti – in sintesi Pd e Forza Italia – bussano con prepotenza alla porta delle soluzioni se è vero che aumenta la distanza dei redditi tra il Nord e il Sud e 10 milioni di persone non pagano le tasse perché poveri. I benefici apprezzabili per il Paese nel suo insieme – quelli che determinano la media dei polli di Trilussa: due a te niente a me – non hanno fatto in tempo a scendere per i rami della società e non hanno raggiunto le fasce sofferenti della popolazione che vedono peggiorare il presente e la percezione del futuro. Ma il desiderio di una vita migliore, di qualche soldo in tasca purchessia (meglio guadagnato ma va bene anche regalato), si scontra con una situazione economico-finanziaria dell’Italia tutt’altro che agevole tra un debito pubblico alle stelle e una crescita ancora frenata.



In aggiunta, non sembra che la nostra posizione a Bruxelles sia destinata migliorare se con le elezioni europee del prossimo anno perderemo la presidenza del Parlamento oggi affidata ad Antonio Tajani mentre volge al termine la protettiva esperienza di Mario Draghi al vertice della Bce.