L’Italia ha bisogno di un governo e occorre fare in fretta: dopo i missili anglo-americani sulla Siria (la Francia ha dato l’appoggio navale), la preoccupazione del presidente della Repubblica Sergio Mattarella diventa ancor più fondata. Lo ha riconosciuto anche Silvio Berlusconi: il Paese deve dire la sua in uno scacchiere essenziale del Mediterraneo, il mare che la penisola italiana taglia esattamente in due. Sbrighiamoci dunque, ma per fare cosa? Diciamo la nostra, ma che cosa diciamo? Che l’attacco degli alleati occidentali è “pazzesco”, come ha esclamato Matteo Salvini? Che è un “gesto criminale” come lo hanno definito gli iraniani? Che verrà vendicato, come minaccia il Cremlino?



La politica estera è tornata a essere una delle grandi questioni dirimenti della politica italiana, anche di quella interna, nonostante un’opinione diffusa lo abbia voluto negare. Ma le forze che dovrebbero formare il nuovo governo sono divise come non mai. Peggio che sul reddito di cittadinanza e sulla flat tax, sull’Alitalia o sull’Ilva, su Mediaset, Tim e Bolloré, insomma su tutti gli intricatissimi nodi che il nuovo governo è chiamato a sciogliere.



In molte ambasciate occidentali ci si sta chiedendo come mai l’Italia sia scivolata così rapidamente verso una linea di sostanziale fiancheggiamento di Vladimir Putin che la porta a flirtare anche con l’Iran. Mai prima partiti, personalità politiche e buona parte dell’opinione pubblica sono stati così filo-russi. Bisogna risalire al Partito comunista degli anni 50 che, comunque, era una forza d’opposizione esclusa dal governo. Certo, c’è una lunga tradizione, soprattutto culturale, che nel corso della storia ha avvicinato russi e italiani. In piena Guerra fredda la Fiat è stata l’unica compagnia occidentale ad aprire uno stabilimento nell’Urss (la fabbrica di automobili a Togliattigrad, oggi Volgograd), anche se avvenne con un tacito via libera della Casa Bianca. Dopo la caduta del comunismo, è stata forte l’ambizione, sia a destra che a sinistra, di proporsi come interlocutori privilegiati di Mosca non solo negli affari (il cordone ombelicale di gasdotti), ma anche nelle grandi scelte strategiche.



Il vertice di Pratica di Mare nel 2002 è stato il culmine di questo percorso, Berlusconi oggi se ne vanta e ne evoca lo spirito. Solo che sono trascorsi ben 16 anni durante i quali è accaduto di tutto. L’attacco di Al Qaeda agli Stati Uniti è diventato conflitto globale da parte del terrorismo islamico, c’è stata l’invasione dell’Iraq, più un coinvolgimento diretto in questa “guerra asimmetrica” di stati sovrani dell’area mediorientale (l’Iran, l’Arabia Saudita, la Siria), ci sono le primavere arabe spinte e cavalcate dalla Fratellanza musulmana, e oggi c’è un netto ritorno indietro, persino alle alleanze della Guerra fredda, con Mosca che difende apertamente la sua sfera d’influenza e la sua base nel Mediterraneo.

Proprio questo è il punto e ci riporta all’evoluzione della Russia di Putin. Nel 2002 il capo del Cremlino aveva in mente un processo di avvicinamento all’Occidente, facendo valere con orgoglio la potenza militare del colosso euroasiatico. Adesso vuole affermare una Russia neo-imperiale in competizione a tutto campo con le altre due potenze imperiali, gli Stati Uniti e la Cina. Da allora a oggi l’Ucraina s’è spaccata e la Crimea è stata annessa unilateralmente da Putin che già nel 2009 aveva spiegato al neopresidente Barack Obama di volere una cintura di sicurezza ai suoi confini europei e asiatici, qualcosa di molto simile alla sfera d’influenza di sovietica memoria. Insomma, gli italiani cercano di maritarsi con Putin, ma lui tende solo a strumentalizzarli, perché nel frattempo in questo periodo che ha visto anche la più grave crisi economica degli ultimi novant’anni, il “nuovo zar” ha cambiato priorità, aspirazioni, strategia.

Si può naturalmente dire che in questo mondo tripolare dove il vecchio ordine si è spezzato e un nuovo ordine non è ancora nato, è ancor più importante, in nome della pace, sviluppare il dialogo e non accentuare le occasioni di conflitto. Verissimo. Tuttavia per dialogare bisogna essere in due. Putin vuol parlare, certo, ma per pretendere e rivendicare e quando intende prendersi una cosa lo fa come con la Crimea. La diplomazia può essere l’alternativa alla guerra, però facciamo attenzione, spesso è solo una cortina fumogena.

Il desiderio italiano di mettersi in mezzo, praticando nel migliore dei casi una sorta di equidistanza, è nello stesso tempo velleitario e pericoloso. Velleitario perché, per quanto importante possa essere sul piano economico, l’Italia non è una potenza geopolitica (ci siamo dimenticati che Francia e Gran Bretagna hanno propri armamenti nucleari, mentre noi ospitiamo soltanto le bombe atomiche americane?). Potrebbe diventarlo entro limiti ragionevoli, ma certo non può far da sola, deve entrare in modo attivo in una sorta di divisione del lavoro, dentro una cornice di sicurezza europea e occidentale, che riservi all’Italia la posizione di punta nel Mediterraneo. Ma qui viene il bello.

L’emergere di questa forte deriva filo-russa nei partiti che hanno vinto le elezioni, quindi sia nel centrodestra sia nel Movimento 5 Stelle, fa da pendant a una sempre più netta frattura con Israele a favore molto spesso delle forze più radicali emerse nel mondo islamico, a cominciare dall’Iran. Israele non è mai stato trattato con i guanti né dalla sinistra (soprattutto comunista), né da molte componenti cattoliche. Tuttavia la critica, spesso la furibonda polemica, era in nome dei palestinesi e della loro aspirazione ad avere un proprio stato. Adesso, invece, si sente sempre più spesso rimettere in discussione l’esistenza stessa di Israele, il suo ruolo in Medio Oriente e nel mondo, il diritto degli ebrei di tornare in Palestina non come sudditi di un impero, ma come soggetti sovrani.

Facciamo un governo, dunque, facciamolo presto, ma facciamolo bene, con una chiara linea politica che ribadisca le alleanze e le solidarietà di fondo senza negare le differenze, le distinzioni, le divergenze (come fa, ad esempio, la Germania). Facciamo un governo, però la comprensibile impazienza di Mattarella non lo porti a sbagliare ministro degli Esteri.