“E adesso, che volete fare? Con quale maggioranza vorreste governare?” Il tempo è scaduto, la propaganda va consegnata ai social, per i partiti è arrivato il momento della verità. Quando le delegazioni si siederanno di fronte a Sergio Mattarella nello Studio alla Vetrata dovranno cominciare a mettere per davvero le carte su tavolo. 



Solo allora, e saranno passati 32 giorni dalle elezioni, si potrà dire che la campagna elettorale è davvero finita. Le sparate a uso e consumo delle tifoserie dovranno lasciare lo spazio alle indicazioni per la formazione del nuovo governo. Prima di avviare le consultazioni Mattarella ha lasciato ai partiti più tempo di qualunque suo predecessore. Spiccano, in particolare, gli undici giorni fra l’elezione dei presidenti delle Camere e il via ai colloqui al Quirinale. La sabbia nella clessidra è però agli sgoccioli, e questo tempo guadagnato al dialogo ha un primo significato chiaro, che il Capo dello Stato difficilmente conferirà mandati esplorativi. Meglio, dal suo punto di vista, tenere in mano il pallino delle trattative, anche se questo dovesse voler dire un secondo giro di consultazioni, o persino un irrituale terzo passaggio davanti alla sua scrivania.



Un punto deve essere tenuto assolutamente a mente: mai Mattarella consentirà a far giurare un governo senza la certezza dei numeri. Di Maio — tanto per parlar chiaro — si scordi un incarico per andarsi a trovare i voti in parlamento. Due sono le ragioni di questa fermezza: la prima sta nell’obbligo costituzionale per il Capo dello Stato di cercare di far nascere un governo solido e in grado di durare, la seconda è che costituirebbe un vantaggio troppo grande per i 5 Stelle trovarsi a gestire da Palazzo Chigi un eventuale immediato ritorno alle urne. 

Mattarella non ha troppa fretta. Dal suo punto di osservazione costata che i partiti si stanno annusando, e che sull’elezione dei presidenti delle Camere c’è stata una convergenza significativa fra i grillini e il centrodestra. Vede però anche che da qui a trasformare un’intesa istituzionale in maggioranza di governo ci sono alcuni ostacoli al momento insormontabili: la pretesa di Di Maio di essere premier a tutti i costi e la conventio ad excludendum grillina nei confronti di Berlusconi, da cui Salvini non pare al momento avere intenzione di staccarsi. 



Si ripartirà però da lì, dal dialogo fra Salvini e Di Maio, che magari prima di salire al Quirinale si saranno già parlati fra di loro. Senza avvicinamenti, al momento improbabili, da lunedì 9 aprile si avvierebbe un secondo giro di colloqui, anche perché il presidente chiederà chiarezza e garanzie sia sugli uomini che sulle intenzioni programmatiche di ogni governo che fosse in procinto di nascere. 

Anche al Pd non verranno fatti sconti: la richiesta sarà di chiarire se davvero sia una scelta definitiva quella di chiamarsi fuori dai giochi e autoassegnarsi all’opposizione. Del resto, tutte le ipotesi alternative all’asse fra 5 Stelle e Lega si basano sulla disponibilità dei democratici, sia un appoggio esterno a un esecutivo Di Maio, sia un sostegno — diretto o indiretto — a un governo di centrodestra, ovviamente guidato da persona differente da Salvini, tipo Giorgetti. 

Il Capo dello Stato non si fa illusioni sui tempi. A meno di non scoprire patti già siglati e abilmente nascosti dietro un velo di polemiche di facciata, sa che servirà tempo. C’è chi fa notare che il 22 aprile si voterà per le regionali del Molise e il 29 per quelle del Friuli Venezia Giulia, con la tentazione dei due partiti in ascesa, 5 Stelle e Lega, di misurarsi in quelle urne. Per Salvini poi è chiarissimo l’interesse a non differenziarsi almeno sino ad allora da Forza Italia per portare a casa vittorie che sembrano già scritte, tanto alla Regione friulana, quanto al comune di Udine. Ma ragionando così si potrebbe anche aggiungere che il 10 giugno si voterà per 797 sindaci, alcuni dei quali di grande importanza, come Brescia, Treviso, Ancona o Catania. Le elezioni in Italia non finiscono mai. 

Tirarla per le lunghe un mese, o più, potrebbe però rivelarsi difficoltoso, perché il 10 aprile il governo uscente presenterà un documento di economia e finanza puramente ragionieristico, ma l’Europa non attenderà all’infinito la versione definitiva, inclusa di manovrina correttiva dei conti pubblici. 

Immaginare che parta da Mattarella l’iniziativa di proporre una via d’uscita alle forze politiche appare davvero difficile. La pressione del Quirinale, sotto forma di appelli privati e pubblici alla ragionevolezza, sembra destinata ad aumentare con il passare dei giorni. Ma solo se saranno i partiti a chiederlo Mattarella potrebbe prendere l’iniziativa di proporre un nome per un governo di emergenza. Una convergenza tanto larga quanto breve. Vorrebbe dire, però, che le urne sono dietro l’angolo, al massimo nella prossima primavera.