A praticamente due mesi dal voto l’Italia non ha la più pallida idea di chi e come sarà governata. Ma un chiaro vincitore del dopo voto c’è: Matteo Salvini, leader della Lega e del centrodestra.
Infatti, mentre altre formazioni hanno finora anteposto loro pregiudiziali al bisogno di governabilità del paese, la Lega è l’unica che si muove con flessibilità a 360 gradi, smettendo i toni guerrafondai della campagna elettorale. Eppure anch’essa ha diversi problemi.
Ma andiamo in ordine. Prima gli sconfitti. Il Pd dice di avere perso e vuole stare all’opposizione, nonostante che praticamente tutti lo vogliano con sé. Non vuole fare il portatore d’acqua al mulino altrui, per il timore di perdere ancora. Quindi mette il suo interesse di parte prima di quello del paese. Può non piacere ma spesso la storia dell’Italia è stata così. Potrebbe cambiare linea se M5s si scusa con Renzi, e accettare per esempio un governo Minniti? Per ora non pare.
La situazione di Berlusconi e di Forza Italia è opposta rispetto al Pd. È disposta a essere di aiuto a chiunque, ma finora solo la Lega la vuole con sé. Il perché è semplice: Berlusconi è il grande sconfitto e — a ragione o torto — è il simbolo di tutti i mali del paese. Chiunque stia con lui rischia di nuotare con un peso al collo. Questo vale per tutti, tranne che per la Lega, la quale più sta vicino a FI, più le succhia forze vitali, cioè consenso e voti.
Quindi i vincitori. L’autoproclamato trionfatore, M5s, dice di volere governare, è all’arrembaggio dei posti ma afferma che non vuole trattare con Berlusconi. In tempi normali sarebbe una condizione ragionevole, ma oggi lo è?
Il paese è sull’orlo di un abisso; due formazioni nuove hanno vinto, M5s e Lega; il mondo e l’Europa sono preoccupati per la situazione dell’Italia e per questi due nuovi attori; di questi attori uno, la Lega, sostiene la Russia di Putin, con cui gli alleati sono praticamente in guerra commerciale, l’altro, il M5s, è il mago dei capitomboli politici e non ha alcuna affidabilità politica.
Perciò i due vincitori non possono governare da soli, ci vuole qualcuno del vecchio mondo che garantisca un certo ordine. Il Pd finora dice di no. Non rimane allora che Berlusconi, il quale rientra dalla finestra dopo essere stato cacciato dalla porta.
Il M5s, sostenendo di non voler parlare con FI, è come se dichiarasse che in realtà non vuole governare e vuole tornare a votare: M5s e Lega da soli non governeranno mai, perché il mondo non vuole.
A votare sono stati sì gli italiani ma non c’è più (se c’è mai stata) la sovranità assoluta di un paese, e l’Italia, nei guai com’è, è appesa al filo del gradimento degli alleati.
Il M5s non lo sa davvero o fa finta di non saperlo? O lo fa solo per ricattare il Pd? Oppure lo fa per andare alle elezioni dicendo “ci abbiamo provato”, quando in realtà non lo hanno fatto? Non si sa; di certo il M5s non riesce nemmeno ad articolare una scusa credibile e continua a fare come i bambini capricciosi: voglio il gelato (Pd), non voglio la verdura (FI).
Per salvare davvero il paese, forse M5s deve capire di dover mettere l’Italia prima del suo interesse, e questo significa parlare con tutti, perché così si fa. La capacità poi è di imbrigliare i “nemici” senza farsi imbrigliare da loro. Questo si dovrà vedere se ne sono capaci. Il timore altrimenti è che vogliano solo arraffare poltrone, come risulta dalle voci che la neo vicepresidente del Senato Paola Taverna per prima cosa abbia chiesto di rifarsi lo studio con divani e tappezzeria di pelle bianca (!).
Rimane la Lega. Salvini parla con tutti, ha smesso i toni barricaderi, rimane — per ora — impassibile davanti alle sceneggiate degli alleati (Berlusconi che venerdì apre al Pd e ieri, dopo la sentenza di Palermo, dice di credere nel centrodestra unito e in Salvini leader, evidentemente per impantanarlo). Sembra l’ancora di salvezza, e forse lo è.
Ma per diventarlo davvero, Salvini deve fare altri due passi importanti. Deve accreditarsi presso gli alleati. Non può governare l’Italia, membro della Nato e della Ue, sostenendo la Russia contro gli Usa, e chiedendo l’uscita dell’euro. Al di là che sia giusto o meno (e pensiamo che non sia giusto) nessuno delle due cose riuscirà mai e chi ci prova è destinato a fallire.
Infine, se lo faccia dire onorevole Salvini, si stringa la cravatta sul collo e si tagli la barba. I rivoluzionari veri sbattono la scarpa sul banco (come Krushev) o si presentano alle riunioni in divisa, come Mao o Castro. Ma quelli hanno preso il potere coi fucili, non coi voti. Invece una cosa così, colletto slacciato e barba lunga con giacca e camicia bianca elegante, sa di periferia. Sarà forse stato utile per raccogliere consensi di alcuni esasperati in villetta, ma adesso sarebbe forse ora di cambiare registro.