O un governo istituzionale o le urne. E’ la previsione di Stefano Folli, editorialista di Repubblica, dopo la chiusura del mandato esplorativo di Roberto Fico. Ora tocca al Pd pronunciarsi, ma quella del governo istituzionale, secondo Folli, è l’unica soluzione sulla quale il Pd renziano potrebbe trovare un punto di incontro con M5s. Mattarella attende fiducioso nuovi sviluppi, ma le possibilità di formare una maggioranza politica sono pressoché esaurite.
Di Maio si è rivolto agli elettori del Pd, ha difeso la necessità di un “contratto di governo al rialzo”; ha detto che serve una legge sul conflitto di interessi, ha perfino difeso Salvini dall’attacco mediatico di Berlusconi. Perché?
Il conflitto di interessi non è una novità per Di Maio, ma stavolta è stata una minaccia: Berlusconi badi a non mettersi troppo di traverso. Le blandizie a Salvini sono poca cosa se l’obiettivo è cercare di riaprire il fronte leghista, con l’idea che Salvini possa mollare Berlusconi dopo il voto in Friuli.
Di Maio continua a parlare da premier in pectore, ma lo sarà mai?
No, né lui né Salvini. Di Maio parla al suo elettorato, che comincia ad essere assai deluso di quanto sta accadendo. Se al malumore crescente per l’ipotesi di un’alleanza con il Pd si aggiunge la rinuncia esplicita a Palazzo Chigi, non è difficile immaginare cosa potrebbe succedere nei 5 Stelle.
Chi prevarrà tra Renzi e i “governisti” del Pd?
Di fatto i primi sono in minoranza. Se stiamo ai numeri interni, il 3 maggio la direzione nazionale dovrebbe sancire il no all’ipotesi di un governo con M5s. Però la politica è strana, stiamo vivendo una stagione piena di imprevisti.
Sta dicendo che potrebbero esserci sorprese?
Non nel senso di un accordo Pd-M5s, questo no. Però un governo di garanzia o istituzionale sarebbe certamente visto in modo diverso nel Pd. Anche da parte di coloro che oggi dicono no e basta.
Questa che lei prospetta è l’unica soluzione alternativa alle elezioni anticipate?
Temo di sì.
Che governo dovrebbe essere, per essere votato anche da Salvini e Di Maio?
Un governo senza un’impronta politica, senza rappresentanti dei partiti nella squadra di governo e senza una maggioranza politica intesa come tale a sostenerlo.
Ma con la modifica della legge elettorale nel programma.
Questo lo si potrebbe dire solo strada facendo. Per cambiare la legge elettorale ci vuole un accordo trasversale molto ampio: non dimentichiamoci di quanti voti di fiducia ci sono voluti per fare il Rosatellum, e allora c’era una maggioranza politica, mentre oggi si comincerebbe da una semplice convergenza parlamentare su un governo di transizione.
Un governo che dovrebbe innanzitutto farsi carico del Def.
Sì, con i connessi interventi di razionalizzazione e di taglio della spesa per scongiurare l’aumento dell’Iva, un’eventualità micidiale per l’economia italiana. E’ davvero singolare che non se ne parli.
Come vedrebbe il Quirinale questa ipotesi?
In mancanza di un’alternativa politica, questo tipo di governo sarebbe la prima opzione del Colle. L’altro giorno Di Maio ha scartato questa soluzione, a parole; nei fatti, potrebbe andare diversamente.
Se anche questa soluzione dovesse fallire?
Resterebbero solo le elezioni anticipate, insieme al problema del governo con cui arrivarci. Sarebbe un fallimento politico tremendo, altri stati europei hanno rivotato in breve tempo senza terremoti, ma nella situazione italiana bisognerebbe pensarci bene prima di precipitarsi di nuovo alle urne, magari solo per calcoli e ripicche.
L’ipotesi di un patto m5s-Lega secondo lei è da archiviare definitivamente?
La spaccatura tra Salvini e Berlusconi mi pare molto improbabile, per ragioni che hanno a che vedere con l’interesse politico ed elettorale della Lega.
Cosa vuole Salvini?
Rimodellare il centrodestra a sua immagine e diventarne il leader. Non gli conviene fare il partner di minoranza di un governo Di Maio, nemmeno in cambio di qualche ministro di peso.
E Renzi?
Di tutti i leader che oggi sono in campo, Renzi è quello che ha più voglia di andare al voto. Il suo obiettivo è regolare ancora una volta i conti con i suoi nemici interni, Franceschini per primo, e ottenere il controllo assoluto di un partito che ritiene non possa scendere sotto la percentuale del 4 marzo (18,7 per cento, ndr).
Una valutazione che potrebbe peccare di ottimismo, non crede?
Sì, anche a me pare un calcolo avventuroso.
L’ultimo a volere le urne?
Senza dubbio Berlusconi.
(Federico Ferraù)