Lo sapevamo da ragazzi ribelli leggendo Mao: la rivoluzione non è un pranzo di gala. Ma allora personalmente pensavo che le pur intollerabili cattive maniere erano un prezzo da pagare per cambiare tutto.

Ora però i modi non proprio signorili della signora Taverna dell’M5s, e di tanti suoi emuli, la pioggia di insulti rovesciati negli anni passati, porteranno a cambiamenti radicali? Se così fosse facciamoci un segno di croce e ringraziamo comunque il cielo. La cosa peggiore sarebbe una maleducazione rivoluzionaria senza i cambiamenti auspicati: solo un prezzo senza risultati, una rivoluzione senza scopo.



Qui c’è anche un profondo senso di colpa: costoro sono anche un po’ figli?

In Italia per decenni molti “rivoluzionari” comunisti o fascisti hanno rispettato regole scritte e non scritte. Dietro alcuni di quei progetti rivoluzionari c’erano piani profondi ancorché molto radicali di cambiamento della società e dello stato. E il dibattito vero non era sulla “rivoluzione” di per sé ma sulla fattibilità o opportunità di tali progetti.



Oggi invece in tanti dei nuovi vincitori pare di vedere del radicalismo senza progetto, un teatro fine a se stesso. Ciò non vuol dire giustificare gli sconfitti: essi hanno sbagliato due volte, nel non avere saputo governare una situazione difficile prima, e nel non avere saputo affrontare gli uomini nuovi, poi.

Forse tutto è figlio dell’impeto rivoluzionario scatenato dopo il ’68. Silvio Berlusconi applicò questo spirito rivoluzionando il mondo dell’impresa in Italia e trasformando la tv, la comunicazione e il modo di vendere i prodotti. In ciò spezzò regole scritte e non scritte del capitalismo italiano, urtando l’ordine costruito intorno al salotto buono di Mediobanca. In questo si arricchì e portò alla ribalta una serie di piccoli e medi imprenditori che fino ad allora erano stati solo prestatori d’opera nel grande sistema. Berlusconi portò questa forza innovativa nella politica rompendo di nuovo regole scritte e non scritte, togliendo dall’isolamento l’estrema destra e promuovendo la forza allora eruttiva della Lega Nord.



Ma dietro i modi rivoluzionari non c’era un progetto rivoluzionante. Sono stati promessi milioni di posti di lavoro, ma non è stato lanciato alcun progetto di innovazione produttiva del sistema italiano. C’era l’idea vaga, e nei fatti impossibile, di riportare il paese agli anni Cinquanta.

Così, in una fase cruciale nella quale il mondo si trasformava e si riorientava verso l’Asia, l’Italia post-1992 e ’94 si chiudeva in se stessa nelle sue piccole beghe interne.

La risposta a quel fallimento oggi è un’ulteriore rivoluzione degli schemi. Dietro però non si vede un progetto. Non ci sono i tomi comunisti sul paradiso futuro in terra, non ci sono però nemmeno i pensieri più esili (ma comunque pensieri) di ritorno a un passato migliore dell’oggi.

Non si capisce cosa vogliano M5s o Lega oltre ai tanti no. Le storie dei redditi di cittadinanza e l’espulsione degli stranieri irregolari sono non semplicemente inattuabili, sono anche una non risposta, una fuga rispetto ai problemi del paese. Dopo che si fossero dati mille euro agli italiani, dopo che si fossero espulsi i clandestini, e dopo che tutti i politici fossero diventati onesti che si fa? Cosa deve fare l’Italia per non essere travolta dalla concorrenza globale? Da lontano non si vedono proposte.

C’è il brutto della rivoluzione allo stato puro, senza nemmeno la speranza di un mondo migliore. C’è la follia di chi ha preso sul serio la poesia sessantottina del “siamo realisti, vogliamo l’impossibile”. Ciò somiglia molto allo straniamento e all’orrore di tanti in Cina che prendendo sul serio il cibarsi del “corpo e sangue di Cristo”, pensavano che i cristiani fossero una specie di setta vampirista e vudù che mangiasse i bambini.

C’è poi la trappola del M5s, come ha rilevato Stefano Folli. Senza progetti veri il movimento al governo si appiattisce di fatto sull’esistente e tradisce nei fatti i militanti rivoluzionari che seguono e commentano al minuto la politica con discussioni da bar amplificate dai portali da loro stessi creati.

Senza un progetto, qualunque governo M5s necessariamente fallirà, in poco o tanto tempo, perché non saprà cosa fare e come farlo, e sarà linciato dai suoi stessi militanti. Se il M5s viceversa si farà incanalare nella macchina di palazzo (cosa che in mancanza di un progetto solido, di classi dirigenti preparate, è l’unico modo di operare) i militanti si rivolteranno perché i capi si sono venduti.

In entrambi i casi il destino è quello di Robespierre, che fu ghigliottinato dopo avere ghigliottinato la monarchia. L’unica via d’uscita sarebbe dotarsi di progetti forti, solidi e persone in grado di portarli avanti. Ma per questi ci vuole tempo, e ormai tempo non ce n’è.

Per questo la speranza più vera è quella di sbagliarci: è senz’altro così, qualcosa di diverso certamente accadrà, scompaginando ancora le carte.